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L’opinione: Tratta degli schiavi

I “CANCEL CULTURE” ATTACCANO I “BIANCHI” DIMENTICANDO I CRIMINI ARABI! QUESTA E’ LA “NUOVA CULTURA” DEI POLITICAMENTE CORRETTI

Anche all’Onu si ricorda le vittime della tratta dei mercanti di schiavi europei. Ma solo quelle dimenticando quelle della ben più duratura e sanguinosa tratta degli schiavisti arabi. Dal politicamente corretto alla cancel culture, la cultura della cancellazione, il passo è stato breve. Così che per i “politicamente corretti’ ci sono africani vittime di serie B?

Assai prima della “cancel culture” nell’area progressista era già diffusa quella che si potrebbe chiamare “omission culture”, la cultura dell’omissione. L’obiettivo comunque è identico: accusare quella occidentale di essere la peggiore delle civiltà, sola e unica responsabile dei mali e delle disgrazie del pianeta, in questo caso omettendo di parlare di ciò che altre culture e civiltà hanno fatto e continuano a fare (non interveniamo sulla “schiavitù” esistente in Qatar, per citarne uno…petrol dollaro docet) o stanno facendo.

La maggior parte dei fenomeni di schiavitù ricorrono oggi, secondo «Terre des hommes», nel subcontinente indiano e zone confinanti. Infatti, i governi locali non riescono ad applicare le normative ufficiali, perché in questi paesi esiste ancora la possibilità di “nascere schiavi” in virtù dei debiti non estinti da parte dei genitori, e successivamente ereditati. Questo avviene per esempio e nello specifico in Pakistan, dove si procede a matrimoni di sangue, oppure in Afghanistan, dove le bambine vengono vendute quali pagamento di un debito.

Altri specifici fenomeni di schiavitù si riscontrano nel continente africano: ad esempio, la Mauritania ha concluso il processo legislativo di abolizione della schiavitù solo nel 1980, senza che si siano mai spente le contestazioni e le critiche al governo. Gli stessi rappresentanti delle autorità di un paese possono essere interessati ad una sopravvivenza dello stato attuale delle cose. Dato che le normative non vengono ancora applicate, si può parlare di una tolleranza di fatto.

In virtù di una certa tradizione storica, per i paesi in via di sviluppo non è del tutto appropriato parlare di schiavismo moderno, ma piuttosto della tenace sopravvivenza di antichi sistemi sociali, che sono in lento declino (solo) laddove sono in atto processi di democratizzazione, laicizzazione, e di adozione dei Principi contenuti nella «Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo», nella «Carta dei Diritti del Bambino» e pure ufficiosamente nella «Carta dei Doveri umani».

In particolare, nel mondo islamico nei riguardi della schiavitù è presente una barriera invalicabile di tipo filosofico e teologico data dal fatto che il profeta Maometto comprava, vendeva, catturava e possedeva schiavi; pertanto, secondo alcune concezioni non sarebbe possibile mettere in dubbio la moralità dell’istituzione stessa; del resto, alcuni passi del Corano ne parlano dando indicazioni di comportamento del credente verso i propri schiavi. La schiavitù nell’Islam è legittimata da diversi passi del Corano, dalla prassi di Maometto e dei primi musulmani, e dalla secolare tradizione islamica. Possono essere ridotti in schiavitù solo i non musulmani, e mantengono (come negli altri sistemi sociali e culturali schiavistici) un ruolo marginale nella società. In epoca contemporanea, nelle nazioni islamiche la schiavitù è gradualmente venuta meno per imposizione delle potenze occidentali. Il Corano e la tradizione islamica ammettono la liceità della schiavitù.

Nel Corano si trovano molti passi che descrivono la liberazione degli schiavi come gesto pio e buono, ma complessivamente la schiavitù viene accettata e normata, in particolare la schiavitù sessuale femminile.

Le nazioni della penisola araba sono state tra le ultime a dichiarare fuorilegge la schiavitù e nonostante questa proibizione formale, persistono casi di schiavitù e di traffico di esseri umani.

Nel 1962 l’Arabia Saudita rese illegale la pratica, liberando circa 10000 schiavi su un totale stimato di 15-30000. La schiavitù fu abolita dal vicino Qatar nel 1952, ma di fatto continua ad esistere senza essere perseguita, nella Repubblica Araba dello Yemen nel 1962, negli Emirati Arabi Uniti nel 1963, nello Yemen del sud nel 1967 e nell’Oman nel 1970. Alcuni di questi stati, come lo Yemen, erano protettorati britannici. Gli inglesi lasciarono lo Yemen del sud senza obbligarlo ad abrogare la schiavitù, ma fecero pressioni sugli Emirati Arabi Uniti affinché lo facessero.

Nel 2005, l’Arabia Saudita è stata descritta dal Dipartimento di stato degli USA come il 3º paese con più traffico di esseri umani. I primi tre paesi sono paesi in cui i governi non aderiscono completamente agli standard minimi e non fanno neppure significativi sforzi per ciò.

Spesso, Paesi che hanno conosciuto per secoli la pratica della schiavitù, sono interessati da un persistere della pratica in nuove forme, come quella che riguarda alcuni dei bambini Restavek sull’isola di Haiti.

La tratta transatlantica degli schiavi è iniziata nel XVI Secolo ed è terminata nel XIX Secolo. Ha portato nelle Americhe circa 12 milioni di africani. Questi i fatti, ma ecco che cosa si omette.

Sulla pagina web dell’Onu, nella motivazione della giornata commemorativa si legge: “la tratta transatlantica degli schiavi è stata l’emigrazione forzata più grande della storia umana, e indiscutibilmente la più disumana. L’enorme esodo di africani sparsi in molte regioni del pianeta per oltre 400 anni è stato un evento senza precedenti nella storia umana”. Coerentemente, anno dopo anno, i vertici dell’Onu, e al seguito le organizzazioni non governative e innumerevoli altri soggetti, ne parlano a loro volta come di un episodio unico nella storia. “È stato il più lungo e brutale capitolo della storia umana perché è stato anche celebrato, spietatamente difeso e sfruttato senza pietà”.

Ma l’Africa invece ha patito un’altra tratta di schiavi che è stata praticata per oltre mille anni, con modalità ancora più atroci. È la tratta arabo-islamica della quale sono stati vittime oltre 12 milioni di africani. Una “tratta” che continua ancor oggi e non sono gli “schiavisti occidentali” a organizzarla e condurla.

L’isola di Zanzibar, colonizzata come il resto delle coste e delle isole dell’Africa orientale dagli arabi a partire dalla fine del primo millennio, e divenuta nel 1698 parte del sultanato di Oman, è stata per secoli il principale mercato di schiavi dell’Africa orientale. Lì venivano portati gran parte degli africani catturati e acquistati dai mercanti arabi che si inoltravano nel continente alla ricerca di merci: gli schiavi, insieme all’avorio, erano le più pregiate. Salvo alcune migliaia, acquistati ogni anno dai residenti e impiegati nelle piantagioni dell’isola, tutti gli schiavi venivano imbarcati su navi dirette verso i paesi arabi, l’Iran e l’India. Fu il blocco navale imposto dalla Royal Navy britannica nell’Oceano Indiano, e prima in quello Atlantico a partire dal 1815, a mettere fine alla tratta araba, le ultime attività della quale però vennero interrotte soltanto nel 1922.

Il primo Stato arabo-musulmano ad abolire la tratta degli schiavi è stato la Tunisia nel 1846, ma di fatto solo nel 1881 con la colonizzazione francese. La nascita delle colonie europee nella seconda metà del XIX Secolo ha messo fine alla tratta transatlantica.

Per inciso, un’altra clamorosa omissione, quando si parla di Africa, riguarda la colonizzazione europea. Difficilmente l’aggettivo “europea” viene usato nel parlarne, a tal punto è diffusa e radicata la convinzione che sia stata l’unica.

Invece due colonizzazioni di portata continentale hanno preceduto quella europea.

La prima, forse la più cruenta, si è svolta nel primo millennio dopo Cristo ed è stata compiuta dal grande gruppo etno-linguistico dei Bantu. Si è trattato di una migrazione plurisecolare grazie alla quale la lavorazione del ferro e l’agricoltura sono state introdotte in gran parte delle regioni subsahariane. I Bantu però hanno respinto le etnie dedite alla pastorizia transumante nelle grandi savane semi aride e hanno decimato i cacciatori-raccoglitori costringendoli a ritirarsi nelle foreste e nei deserti, gli ambienti più inospitali dove tuttora sopravvivono, disprezzati ed emarginati.

Dal VII secolo è incominciata la seconda colonizzazione del continente, anch’essa devastante per violenza e impatto destabilizzante. È quella arabo-islamica che, partendo dall’Arabia Saudita pochi anni dopo la morte del profeta Maometto avvenuta nel 632 dopo Cristo, ha conquistato il nord Africa per poi proseguire più lentamente verso sud.

Alla luce di questi fatti, sistematicamente omessi, la conclusione del messaggio lanciato e veicolato dall’Onu dispiace perché aggredisce una certa parte e offende l’intelligenza culturale collettiva e quella individuale quando esprime dicendo che:

la tratta transatlantica degli schiavi è finita da oltre due secoli, ma le idee di supremazia bianca che l’hanno supportata restano vive. Dobbiamo mettere fine all’eredità di questa menzogna razzista”.

A quando una giornata per ricordare le vittime della tratta arabo-islamica degli schiavi e per denunciare il razzismo che l’ha resa possibile? A quando gli “embargo” nei confronti di quei paesi che tollerano ancor oggi la schiavitù? Oppure all’Onu ci sono vittime che contano più di altre?

https://www.corriere.it/…/83a90d36-c955-11e7-8a54…

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.