L’immane compito che mi tocca oggi è quello di vergare qualche parola su un attentato, avvenuto oggi 7 gennaio, contro la sede del giornale satirico francese “Charlie Hedbo”. In attesa di ulteriori aggiornamenti, il bilancio conta 12 vittime e 8 feriti.
Tra le vittime il direttore e disegnatore Stephan Charbonnier (Charb), i vignettisti Jean Cabut(Cabu), Georges Wolinski e Bernard Verlhac (Tignous) e l’economista Bernard Maris. I due poliziotti uccisi sono un peacekeeper e un ufficiale del servizio di protezione, responsabile per la sicurezza dei dipendenti del Charlie Hebdo.
La situazione è molto fluida, nel mentre la polizia sta setacciando con largo dispiegamento di forze tutte le strade per rintracciare i terroristi e diverse personalità politiche, da Hollande a Renzi, dalla Merkel a Cameron, hanno espresso il loro cordoglio e la loro recisa condanna a questo disgustoso gesto.
Perché di questo si tratta; perché di questo si deve parlare, mentre solitamente si tende a voltare la testa dall’altra parte e a liquidare il tutto con uno sbrigativo “se l’è cercata”; perché di questo ci si deve fare carico affinché non accada più nulla di tutto questo.
Ci si veste a lutto oggi e lo si farà nei giorni seguenti: con la morte nel cuore e con un crescente senso di fastidio e di disgusto, mi sento toccato dalla sorte occorsa a Charbonnier e ai suoi colleghi. Ammetto di non aver mai sentito parlare di loro né del giornale che, con coraggio e forte passione, dirigevano. Con loro se n’è andata anche un pezzo di Satira, con la lettera maiuscola perché il diritto all’espressione, a ridere e a mettere alla berlina malservizi e fanatismi oggi se n’è andato con loro.
La satira non deve avere confini e limitazioni di alcun tipo. Questo Charbonnier l’aveva capito e fatto vedere a più riprese. La sua equipe non si lasciava sfuggire un’occasione per smascherare i farabutti di turno, far aprire a tutti noi gli occhi su quello che ci accade intorno e mettere il mostro in prima pagina. Solo che il mostro, stavolta, è arrivato a bussare a casa sua.
Già nel 2011 la sede della rivista era stata distrutta da una bomba. Nel 2012, per una sua vignetta irriverente su Maometto, Charbonnier era finito sotto il fuoco incrociato di tantissime critiche, da una parte e sorprendentemente anche dall’altra.
Di questo lui si stupì: di come la legge francese sembrasse soffiare sulle braci di una situazione, come quella del fondamentalismo religioso, sempre bollenti e mai sopite, e contemporaneamente sorrideva dicendo che tutto era sotto controllo.
In un’intervista alla succursale inglese di Al Jazeera, Charbonnier aveva affermato che “Charlie Hebdo” non aveva violato nessuna legge e la pubblicazione della famigerata vignetta di Maometto nudo faceva parte della sua libertà d’espressione. La rivista aveva il diritto di usare tale libertà, senza per questo andare incontro ad alcuna sanzione.
Ciò non toglie che discutendo e informando possiamo onorare come è giusto che sia quell’idea che è costata la vita a quel gruppo di persone. Non la battuta gratuita, ma la cattiveria che illumina ciò che tutti, nel profondo, potrebbero pensare ma i più non dicono. E’ il rischio, purtroppo, di creare non satira ma in generale quella controinformazione di cui la satira è il lato più “basso” ma spesso anche il più efficace.
“Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio“: salutiamo così Charbonnier e gli altri suoi colleghi.
Pasquale Narciso