Ha generato non poche polemiche la proposta avanzata nel disegno di legge n 1577 sulla riforma della Pubblica Amministrazione in cui si è rivista la disciplina in merito alle selezioni pubbliche. L’aggiustamento, firmato dal deputato Pd Marco Meloni e riformulato dal Governo, è destinato a cambiare il sistema. Finora nei concorsi solo il voto di laurea ha il suo peso, mentre l’università che ha rilasciato il titolo accademico non fa testo. L’intenzione però è quella di cambiare, infatti: “Superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti”.
La regola vuole porsi come freno ai diplomifici. Funziona che se una persona si laurea con il 90 in un ateneo dove la percentuale dei laureati che ottengono il 110 e lode è solamente del 1%, il punteggio sarà valutato superiore paragonato a chi ha ottenuto il medesimo voto ma in un’università più “disponibile”, dove solo il 90% dei laureati ha raggiunto l’eccellenza.
La proposta ha generato le solite polemiche che hanno visto come protagonisti i rettori, l’UDU e il M5S. In molti hanno affermato che sarebbe una norma a favore di Università private quali la Bocconi. Eppure, come raccontava tre anni fa Francesco Sylos Labini sul Fatto Quotidiano, vi sono delle università statali che hanno posizionamenti migliori della Bocconi. Nel QS Rankings, una nota classifica internazionale, la Bocconi, nella categoria Social Sciences and Management, occupava nel 2012 il 46° posto su 50, mentre in Engineering and Technology il Politecnico di Milano, università statale, occupava il 48° posto.
Beppe Grillo in merito ha affermato sul suo blog: “Archiviato ogni principio di meritocrazia, si sancisce definitivamente la nuova regola dell’aristocrazia renziana: arriva primo chi ha i soldi per poter accedere all’Università migliore (ma poi chi decide qual è la migliore?). Pazienza se per entrarvi serviranno tanti soldi, come quelli che si sborsano per le rette degli Atenei privati!“.
Eppure il DdL Madia affronta tutt’altra questione. Quanto previsto è diverso rispetto a quando nel 2012 si era ventilata l’ipotesi di una riforma in cui le università di provenienza potevano costituire un criterio discriminante o di vantaggio nella ricerca di un’occupazione, mentre al contrario non lo erano più i voti di laurea e il corso di laurea scelto.
La proposta avanzata da Marco Meloni invece verte sul significato del voto finale in base all’università di provenienza. A differenza di quanto proposto durante il governo Monti, non si correrebbe più il rischio di dover frequentare un ateneo prestigioso e costoso per trovare lavoro; al contempo si spronerebbero le università meno efficienti a migliorarsi per essere più competitive nella qualità dell’offerta formativa. Meloni, sui social network, ha anche ricordato che la sua iniziale intenzione era persino quella di prevedere “semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici“, il tutto per valutare senza alcuna preclusione le persone che vogliono entrare nel mondo della Pubblica Amministrazione.
In conclusione verrebbero svantaggiati, secondo quanto riporta Studenti.it, atenei quali quello di Venezia, Siena e Trieste; a essere premiati invece sarebbero gli studenti che frequentano il Politecnico di Torino, Napoli Parthenope e Catanzaro.
Michele Soliani
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