Gabriele Salvatores ci riprova. Il suo Ragazzo Invisibile è tornato alla ribalta con una nuova avventura per salvare ancora una volta la tranquilla Trieste dalla minaccia degli Speciali russi. Ma andiamo con ordine.
Tre anni fa, più o meno in questo periodo dell’anno, usciva nelle sale italiane “Il ragazzo invisibile“, un film che scatenò non pochi dibattiti tra gli appassionati di cinema del nostro Bel Paese: la pellicola di Salvatores infatti si presentava come una novità assoluta nel panorama cinematografico nostrano, coniugando il convenzionale Superhero movie di stampo hollywoodiano al tradizionale modo di fare cinema in Italia.
Anche noi di Secolo Trentino partecipammo alla discussione in corso, apprezzando tanto il rischioso azzardo del regista Premio Oscar quanto il film nel suo complesso, il quale presentava numerosi elementi di innovazione: dall’ambientazione alla recitazione, dalla fotografia alla regia, “Il ragazzo invisibile” si distingueva da qualsiasi altro film del genere cinecomics, intercalando il mondo supereroistico in un contesto tranquillo e molto più realistico di quanto si è abituati solitamente. La peculiarità della pellicola di Salvatores infatti stava nella perfetta sinergia tra l’intrattenimento da block buster hollywoodiano e la cultura neorealistica cinematografica italiana.
Nel sequel “Il ragazzo invisibile – Seconda generazione“, uscito ieri nelle sale italiane, Gabriele Salvatores sembra aver adottato uno stile registico molto diverso rispetto al precedente capolavoro, avvicinandosi molto di più al filone statunitense e tralasciando la parte neorealistica che aveva fatto l’originalità e l’unicità del film. Non si segue più con la tecnica del pedinamento il protagonista Michele nelle sue attività quotidiane, estranee ai fini della trama ma interessanti per delineare la psicologia del personaggio e le dinamiche delle situazioni narrate: le vicende mostrate al pubblico in questa seconda pellicola sono totalmente funzionali allo sviluppo della narrazione, in pieno stile classico hollywoodiano; così come la regia resta parecchio operaia e dalle inquadrature poco ricercate, mostrando solo lo stretto indispensabile senza aggiungere nulla di incisivo alle scene riprese. Viene a mancare anche l’elemento panico del mare, che nel primo film entrava in contatto spirituale con il Ragazzo Invisibile rispecchiando la sua solitudine e il suo stato d’animo malinconico.
“Il ragazzo invisibile – Seconda generazione” cerca di imitare con maggiore impatto i suoi modelli statunitensi, in particolar modo – come già accennato nella scorsa recensione – l’Uomo Ragno: il film inizia infatti con una sequenza disegnata in stile fumettistico riassumendo in scene chiave il film precedente, rifacendosi palesemente all’introduzione di “Spider-man 2” di Sam Raimi. E l’emulazione continua quando si scopre nelle primissime scene del film che la madre adottiva di Michele è morta in un incidente stradale, causando un vuoto nel giovane supereroe rimasto solo e pieno di rimorsi.
In questa pellicola Michele perde dunque l’innocenza che lo caratterizzava, sostituita da un’oscurità interiore che lo divora dall’interno per la perdita prematura dell’amata genitrice e per l’inspiegabile scomparsa del padre naturale che lo aveva aiutato tanto nella sua prima avventura. Si mette in scena quindi l’anti-eroe, il lato dark del cinecomics che negli ultimi anni ha letteralmente spopolato ad Hollywood: il famoso “supereroe con super problemi”. Il tutto narrato e messo in scena appunto secondo i canoni classici e funzionali del cinema statunitense, perdendo la sua vena d’originalità neorealistica d’impronta italiana.
Il problema di base è che, mentre il precedente film del 2014 puntava su un prodotto originale applicando (con successo) una trasposizione del modello hollywoodiano alla tradizione cinematografica italiana, “Il ragazzo invisibile – Seconda generazione” cala senza quasi alcun tipo di ammortizzatore locale il contesto del cinecomics americano nella realtà italiana (fallendo). Manca l’azione tipica dei Superhero movies statunitensi, mancano gli ingenti effetti speciali, e quindi il risultato che si ottiene è un cinecomics classico denudato delle sue qualità intrattenitive.
Inoltre, se nel corso del primo film aleggia un mistero che verrà risolto nel finale con un abile twist ending narrativo, in questo sequel il “colpo di scena” finale non ha nulla di sorprendente, già intuibile infatti quasi a inizio film. Si potrebbe aggiungere un’ultima nota di demerito su come si conclude il combattimento finale, ma si cadrebbe nello spoiler: agli spettatori il compito di individuare la scena incriminata.
In conclusione, il film è godibile e nel suo piccolo intrattiene. Nulla di particolarmente negativo o positivo, ma lascia parecchia delusione se confrontato col precedente. Uno dei motivi che può aver spinto Salvatores ad abbassare il tiro neorealistico e a potenziare l’assetto macchiettistico da cinecomics classico potrebbe essere il basso incasso ottenuto al botteghino dal lungometraggio del 2014 – anche se c’è da specificare che quel film non fu pubblicizzato neanche lontanamente come quello uscito ieri nelle sale. Non resta allora che osservare se anche questa volta gli spettatori italiani rimarranno scettici come tre anni fa o se invece gli accorgimenti di Salvatores si riveleranno vincenti, portando magari a realizzare un terzo capitolo della saga dell’amato supereroe italiano.
di Giuseppe Comper