Non è un cartello o un’inserzione pubblicitaria. È l’appello rivolto, non si sa a chi, da Gabriele Adinolfi, tra i fondatori di Terza Posizione (bisogna chiarirlo per evitare che a Report facciano l’ennesima confusione). In realtà c’è poco da cercare e molto, se non tutto, da inventare, da creare.
Esiste una consistente parte del popolo italiano che è politicamente orfana. Non ha punti di riferimento solidi nei partiti e movimenti esistenti. Perché la logica del “meno peggio”, del “meno lontano”, pare non funzionare più. Le percentuali che emergono dai sondaggi non sono reali poiché trascurano non la quota di indecisi ma la parte di disgustati che rifiutano l’idea stessa del voto per le attuali formazioni.
È comprensibile che i partiti festeggino incrementi dello zero virgola nei vari sondaggi, perché la spartizione delle poltrone è legata alle percentuali dei voti espressi. Però diventa sempre più difficile governare un Paese in cui la metà della popolazione è “contro” a prescindere dal vincitore delle elezioni. Non più per indifferenza ma per rabbia, per disgusto.
Un popolo di “sinistra” che non sopporta più le politiche del Pd a favore delle varie caste; un popolo di “destra” che non accetta la totale ignoranza di Lega e Fdi in politica estera; un popolo di “centro” che non si sente certo rappresentato da Berlusconi e Renzi che pensano solo a tutelare se stessi ed i rispettivi amici; un popolo “grillino” disgustato dai voltafaccia di Grillo e dal nulla cosmico dei vari capetti.
Chi rappresenta chi? A forza di cercare di fare il pieno di voti accontentando tutti, ci si ritrova a scontentare tutti tranne gli oligarchi di riferimento. E allora ha un senso la provocazione di Adinolfi perché non si limita allo slogan ma ha il coraggio di scegliere un obiettivo. Ed è la piccola borghesia a rischio di proletarizzazione. Si può discutere se, in realtà, il rischio non riguardi anche la media borghesia, non solo la piccola, ma sono quisquilie legate alle definizioni ed alla loro interpretazione.
Ciò che conta è che si tratta in ogni caso della colonna vertebrale di questo Paese. Ed è per questo che è costantemente sotto attacco. Eliminare il ceto medio, la borghesia produttiva, significa distruggere ogni possibilità di tenuta dell’Italia. Trasformandola nel paradiso degli speculatori, degli sfruttatori, con un popolo di schiavi disposti a tutto pur di sopravvivere.
Il terrore sparso a piene mani per il virus ha dimostrato che la vigliaccheria si è già diffusa ampiamente. Ora è la volta degli inginocchiati alla Boldrine, degli oikofobi che odiano ogni forma di cultura italiana ed europea. Distruggere il senso di appartenenza, i legami con le piccole patrie, il retaggio culturale, ogni radicamento. E, a quel punto, sferrare l’attacco decisivo per eliminare definitivamente la borghesia italiana e, con essa, ogni difesa dal dominio delle multinazionali.
Il cancro della globalizzazione si è già diffuso tra i professionisti, tra chi si illude che l’ascensore sociale funzioni ancora in salita per fargli raggiungere il livello degli oligarchi. I chierici della casta si accontentano delle ossa dei banchetti, pur di essere invitati.
Ma chi non si accontenta vorrebbe poter contare su qualche forza politica che lo rappresentasse, che lo tutelasse. Che non confondesse gli interessi degli Elkann con quelli dell’artigiano, che conoscesse le difficoltà di chi ha un impiego nella pubblica amministrazione, di chi ha un negozio senza clienti perché non ci sono più soldi per fare acquisti. Una forza politica in grado di valorizzare la cultura locale, perché la conosce, senza farsi imporre le scelte da Washington. Una forza politica in grado di comprendere il ruolo dell’Italia sulla scena internazionale.
Lo spazio c’è. Le proposte no.