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Editoriali Monarchie e co. Società

In morte della Regina Elisabetta

Apparirà strano sentir cantare God save the King. Sono davvero poche le persone che lo hanno ascoltato in quella versione, perché the Queen era sul trono da oltre 70 anni, il regno più longevo in Europa dopo quello di Re Sole (72 e mezzo) che però era stato incoronato a cinque anni, lei a 25. Per intenderci, quando Elisabetta II divenne regina in Russia ancora comandava Stalin.
Ha visto passare tre quarti di secolo da sovrana, ma, con le evoluzioni che si sono verificate, è come se di secoli non ne avesse attraversati bensì percorsi interamente due.
Ha assistito alla grande crisi economica e sociale, allo smantellamento dell’impero coloniale, alla perdita di potenza mondiale e poi alla riconquista “culturale” ai danni della Francia, con Beatles, Rolling Stones, Twiggy, Mary Quant,  la Jaguar, la Mini Minor, James Bond, Bobby Charlton, Peter Sellers.


Ha assistito alla ripresa dovuta alla scoperta del petrolio del Mare del Nord e alla contrastata ammissione in Europa che salvò le casse britanniche, quindi alla guerra delle Malvine, al thatcherismo, alla Brexit e al rilancio del Commonwealth. E a tutto quello che non si può dire, tenuto conto del ruolo che l’intelligence britannica ha avuto e mantiene nei destini del mondo e alla funzione di lavatrice e di finanziatrice di tutto l’indicibile svolta dalla City.

Oltre Lady D
La sua figura imperturbabile – poi divenuta virale con The Crown – ha funto da punto fermo dell’immaginario interno ed estero di un Regno Unito in continua trasformazione, etnica, sociale, mentale, costante summa di contraddizioni che altrove sarebbero risultate sgretolanti come il femminismo ultragender e woke che si accompagna ai modi di fare e di esprimersi mascolinamente ingessati e un tantino misogini così tipicamente british.
Ha stravinto, non sul breve ma alla distanza, lo scontro con la nuora, Diana, in cui tanto facilmente si era riconosciuta la massa inverterbrata e capricciosa. La Regina Elisabetta assumeva la gravità e l’impersonalità della funzione che Lady D voleva adattare ai suoi desideri, ai suoi orientamenti, ai suoi capricci, compresa – eccome se era capita – da un’umanità avviata all’atomizzazione irresponsabile e al compiacimento delle fragilità messe in mostra, priva della distanza pudica che impone forza e grandezza e rifugge dalla volgarità.
Fu l’unica vera contesa difficile, comunque la vinse.

Della Regalità
La Regalità è qualcosa di sacro. Ma la vera Regalità non è di quest’epoca che, da qualche secolo in qua, può trovare la via tradizionale e il ruolo di autorità superiore nei confronti dell’oligarchia, aristocratica e/o borghese, esclusivamente in una forma bonapartista o cesarista che, a dirla tutta, è più una sorta di dittatura repubblicana che non una monarchia dinastica, ormai vetrina di lusso per il classismo dominante. La sola differenza sta nel fatto che a questo genere di società la monarchia dinastica non assoluta offre un involucro che ha un qualcosa di serio, di solenne, se non altro perché si sottrae al mercato delle vacche e degli spin doctors.
Se la persona sa rivestire la sua funzione, ciò determina un senso di serietà difficile da riscontrare nelle repubbliche parlamentari perché, a differenza di queste ultime, lì almeno c’è qualcosa di gerarchico.
Ed è probabilmente per questo, oltre che per un complesso d’inferiorità anglofilo, che soprattutto oggi che ci si comporta e si ragiona sempre più come i fans di Lady D, la Regina Elisabetta è così amata e ammirata.

Cosa rappresentava
Simbolicamente – e quindi funzionalmente – la Regina rappresentava il nemico. Capo della Chiesa anglicana e della Massoneria londinese, anche se solo formalmente. Sempre formalmente alla testa delle Intelligences britanniche che tuttora sono forse le più attive e pericolose al mondo. Capo del Commonwealth e garante della City. Proprietaria del panfilo Britannia in cui venne avviato lo samantellamento dell’Italia dopo che proprio gli inglesi avevano bloccato Craxi e la Lira pesante.
Simbolo di quell’Inghilterra che ha sempre operato per dividere l’Europa e mettere gli europei gli uni contro gli altri. Che ha sempre voluto affondare le nostre flotte: spagnola, tedesca, francese, italiana.
Quell’Inghilterra che spinse a tutti i costi per la guerra mondiale non appena ci guadagnammo lo sbocco sull’Oceano Indiano e che trama sempre e ovunque contro l’Europa. Non più contro di noi: si limita a divertirsi facendoci pagare il nostro servilismo. D’altronde ci hanno battezzati coniando, 79 anni fa, il verbo to badogliate e ci considerano come ci siamo meritati.
Certamente è contro di loro, ma non per rivincita su di loro, bensì per riscatto di noi stessi, che dobbiamo alzarci in piedi. Non sono tanto gli inglesi la nostra maledizione quanto lo sono gli anglofili servili. Anzi i servili di qualunque genere, che lo siano verso gli Usa, la Russia o Israele non cambia. Semmai svilisce ulteriormente i servi.

Dobbiamo diventare degni dei nostri nemici
Si può ammirare chi ti è obbligatoriamente nemico? Se se lo merita sì, se non è una sindrome di Stoccolma sì, se si riesce a restargli nemici, sì. E più è ammirevole il tuo nemico tanto meglio per te. D’altronde quale nemico dovremmo ammirare? Gli americani? I russi? Per piacere! Dateci nemici degni di noi! Certo, mi direte che, da come siamo ormai ridotti, i russi e gli americani già sono nemici di lusso per certuni così decaduti, così privi di spina dorsale, così privi di decoro, così privi di orgoglio e così infedeli non dico all’onore che è troppo pretendere, ma al suo puro e semplice concetto teorico, che questi la Regina la possono giusto odiare con il rancore bavoso degli inferiori e delle tricoteueses.
Ma non mi riferivo a loro e ai loro guaiti, bensì a quei pochi che mantengono la spina dorsale dritta e che vogliono essere degni di nemici degni. Un’altra genìa rispetto a quella agonizzante dietro parole d’ordine ereditate e di cui non conoscono neppure il significato.