E’ già oggetto di proteste iil nuovo film di Pinocchio ‘ con Tom Hanks nel ruolo di Geppetto. Il motivo? La scelta di realizzare una fata turchina afroamericana.
A interpretarla l’attrice Cynthia Erivo. Nel film d’animazione, è bionda e lo studio ha deciso di dare più rappresentazione a una razza diversa. Questo viene fatto dagli studi di tutto il mondo per aumentare l’audience, eppure in molti protestano.
Ma è veramente una questione di razzismo il fatto di non voler accettare persone afroamericane nei classici Disney? Sebbene alcune motivazioni possano sembrare razziste, è altresì vero che si devono prendere in considerazione altri elementi importanti a supporto di chi critica questa scelta di inclusione forzata.
Basti leggere infatti la descrizione fatta da Collodi della Fata che viene presentata come “una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto”. Fa così la sua prima apparizione nel capitolo XV alla finestra della sua casa nel bosco, quando Pinocchio tenta disperatamente di sfuggire al Gatto e la Volpe travestiti da assassini. “Con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo”, dice al burattino che sono tutti morti in quella casa, compresa lei, che sta aspettando la bara per essere portata via; nel capitolo seguente viene spiegato che la Bambina è in realtà “una buonissima Fata, che da più di mille anni abitava nelle vicinanze di quel bosco”.
Un’immagine ben diversa da quella ora riproposta dal mondo Disney. Ma sino a che punto l’inclusione è voluta e sino a che punto invece vi sono delle esigenze di mercato? Il fenomeno del blackwashing, la pratica cinematografica che assegna ruoli, originariamente appartenenti a etnie occidentali, ad attori afroamericani, sta ormai prendendo sempre più piede anche allo scopo di aumentare il numero di clienti, soprattutto nella comunità afroamericana. Da un certo punto di vista un buon principio, ma pessimo se fatto a scopo economico o in totale contrasto con l’opera letteraria da cui prende spunto. Ma il vile denaro prevale anche sulla cultura.
Giulia Calama