Il virus imperante da SarsCov2 le ha oscurate ma emergono sempre più potenti e coinvolgono per primi i più grandi centri abitati: sono le malattie sessualmente trasmissibili e, tra queste, la sifilide è responsabile di un’impennata di casi, con rialzi a più del doppio rispetto al periodo Covid e con un ritmo di trasmissione che coinvolge prevalentemente i giovanissimi. Sull’argomento è intervenuto Waldemaro Marchiafava, dermatologo all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, all’interno della trasmissione “Dritti al punto” condotta da Roberta Feliziani e in onda su Cusano Italia TV.
“Sembrava sommersa ma la realtà non è questa. La sifilide è una patologia trasmissibile sessualmente di cui oggi riscontriamo il 400% in più dei casi diagnosticati – dichiara Marchiafava – È la terza più diffusa al mondo dopo clamidia e gonorrea, e tra queste, può essere talvolta invisibile e riscontrarsi solo dopo molto tempo. La sifilide, inoltre, non si trasmette solo tramite rapporti sessuali ma anche tramite contatto interpersonale non sessuale o per via trans-placentare. Andrebbe reinserito un test di TPHA, fino agli anni ’80 di prassi all’interno dei presidi sanitari, perché è l’unico modo per effettuare uno screening vero e proprio.”
Dal 1991 al 2020, i centri clinici del Sistema di sorveglianza hanno segnalato 9440 nuovi casi di sifilide I-II, pari al 6,5% di tutte le IST segnalate. Il 31,3% dei casi di sifilide I-II è stato segnalato in uomini eterosessuali, il 59,6% in maschi che fanno sesso con maschi (Msm) e il 9,1% in donne. Le diagnosi di sifilide I-II sono state più frequenti nei soggetti di età uguale o maggiore a 45 anni (9,0%).
Relativamente all’andamento temporale, i casi di sifilide I-II sono rimasti stabili fino al 2000. Dopo il 2000 i casi di sifilide I-II hanno evidenziato un aumento rilevante: nel 2005 si è osservato un aumento delle diagnosi di circa cinque volte rispetto al 2000 e un nuovo picco nel 2016. Nello specifico, nel 2020 il numero di casi segnalati è stato di circa il 5% più basso rispetto al 2019.
Per quanto riguarda l’infezione da HIV, degli 9440 soggetti con sifilide I-II segnalati dal 1991 al 2020, 7681 (81,4%) hanno effettuato un test anti-HIV al momento della diagnosi di sifilide I-II e 1493 (19,4%) sono risultati Hiv positivi. Nei soggetti con sifilide I-II si è osservato un aumento della prevalenza HIV dal 1991 (8,5%) al 1995 (30,0%) e un successivo decremento fino al 2008 (10,6%). Dal 2008 al 2019 la prevalenza di HIV in soggetti con sifilide I-I è aumentata da 10,6% al 33,1% e si è ridotta al 26,7% del 2020.
Sifilide latente
Dal 1991 al 2020, i centri clinici del Sistema di sorveglianza hanno segnalato 11770 nuovi casi di sifilide latente, pari all’8,1% di tutte le IST segnalate. Il 38,6% dei casi di sifilide latente è stato segnalato in uomini eterosessuali, il 26,4% in maschi che fanno sesso con maschi (Msm) e il 35,0% in donne. Le diagnosi di sifilide latente sono state più frequenti nei soggetti di età uguale o maggiore a 45 anni (24,8%).
Relativamente all’andamento temporale, le segnalazioni di sifilide latente hanno mostrato due picchi: il primo nel 1992 e il secondo nel 2005. Nel 2020 si e osservata una riduzione del 20% circa rispetto al 2019.
Per quanto riguarda l’infezione da HIV, dei 11770 soggetti con sifilide latente segnalati dal 1991 al 2020, 8866 (75,3%) hanno effettuato un test anti-HIV al momento della diagnosi di sifilide latente e 1083 (12,2%) sono risultati HIV positivi. Nei soggetti con sifilide latente la prevalenza HIV è rimasta stabile tra il 1991 e il 2012, successivamente si è assistito a un incremento di circa cinque volte della prevalenza HIV con un picco nel 2020 (52,6%).