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Edoardo Agnelli, il figlio sbagliato, il figlio amato. -prima parte-

Parlare degli Agnelli appare quasi più complicato e imbarazzante che trattare di Buckingham Palace; da italiani del dopoguerra ci si è sentiti sempre sovrastati da questa presenza, indicata come incombente sui nostri destini (a meno di non essere juventini).

Aggiungiamo poi che raramente si è tanto esperti di questioni riguardanti l’industria e l’alta finanza, al punto da poter valutare i dissidi tra parenti Agnelli, che negli anni sono apparsi in cronaca, anche quella specializzata; mettiamoci il carico di biechi pettegolezzi su alcuni di loro, ed ecco che trattare della scomparsa di Edoardo Agnelli diventa particolarmente azzardato.

Noi ragioniamo su quello che tutti possono acquisire, non su documentazione in possesso di pochi: deve bastarci, per non restringere il discorso a un risicato circolo.

La famiglia Agnelli appare da sempre fulgida, “vestita alla marinara“, distante, così piemontese, anche se cresciuta in giro per il mondo e innestata da nozze con stranieri e aristocratici vari.

Si è discusso molto sulle loro origini, poiché l’archivio di famiglia non esiste più o, se esiste da qualche parte, non è disponibile. Gli studiosi mettono le loro attività iniziali sempre in collegamento con le banche e la seta, uno strano connubio che, però, li porterà all’opulenza; fino all’idea di impiantare l’industria automobilistica in Italia da parte di Giovanni, nato nel 1866, che fruì, per avviare la sua impresa, dell’amicizia con Giovanni Giolitti. Agnelli e politica: a quanto pare, tutt’uno con la costruzione della neonata nazione Italia. Riguardo a come gli Agnelli abbiano prevalso sui cugini Nasi nella gestione della neonata “start up” esiste tutto un filone storiografico, ovviamente non benevolo.

Una piccola curiosità riguarda il “privilegio” di essere un Agnelli, anche quando il cognome legale è un altro. Pare si tratti di una sorta di “cerchio magico“, che comprende circa centocinquanta di persone, molte riconoscibili dalla chioma geneticamente sempre folta, arricciata e ribelle, un vero marchio di stirpe.

La figura che ha impregnato l’immagine degli Agnelli resta sempre e comunque quella dell’”Avvocato“, titolo che da solo identificava Gianni, classe 1921.

Come primo maschio della sua famiglia gli toccò lo scettro; e anche se ricordava di aver ricevuto l’investitura e la relativa responsabilità a ventitré anni, è opinione diffusa che fino ai quaranta si sia sostanzialmente goduto la vita. Al suo fianco è sempre rimasta l’altera moglie Marella Caracciolo, sposata nel 1953, nozze da cui nacquero Edoardo e Margherita. Il direttore della FIAT, Vittorio Valletta, si occupava di tutto e Gianni praticò la vera dolce vita del tempo.

Dopo la morte di Gianni, nel gennaio 2003, è scoppiata un’aspra polemica, seguita da una causa che vede contrapposti Margherita da una parte, e il suo stesso figlio John alleato con nonna Marella dall’altra, circa l’eredità: non ne tratteremo, non riuscendo nemmeno a soppesare le stratosferiche cifre in campo, ma l’azione giudiziaria dura tuttora, dopo la scomparsa di Marella nel 2019. Attualmente il procedimento italiano risulta in pausa, in attesa della determinazione dei tribunali elvetici, presso cui pendono ulteriori giudizi in merito.

Edoardo, l’uomo

La sua figura un po’ allampanata apparve subito, dall’infanzia, quella di un putto fragile come una statuina di maiolica, con un nocciolo duro che non avrebbe mai mostrato se non forse agli intimi: un’ostinazione nella ricerca di sé che non conosceva ostacoli.

Molto è stato raccontato sulla presunta freddezza paterna, che riguardava anche Margherita. Gianni viene descritto come ondivago, insonne in giro per il pianeta tra elicotteri e natanti, donnaiolo, marito “non fedele ma devoto”. Marella veniva raccontata come un’algida donna Prassede, refrattaria al ruolo di “socialite”, che si cura dell’arredamento e dei giardini, gioca con i suoi husky in villa, legge libri in francese e ascolta Chopin, tutto mentre i due figlioli rimanevano in balia di tate e istitutori. Ciò appare verosimile, ma in linea con lo stile di vita di quel tipo di ambiente.

Margherita, detta “Marghe” avrebbe presto tagliato la corda dopo il matrimonio “riparatore” (lei 19 anni lui 25) con il giornalista Alain Elkann, nozze senza sfarzo, in stile a metà tra il calvinismo torinese e la temperanza ebraica della famiglia di lui. Nascono a ruota John, Lapo e Ginevra, ma nel 1981 l’unione termina. Marghe si risposerà con il conte franco russo Serge De Pahlen, con cui avrà altri cinque figli. Le donne di casa, d’altro canto, non hanno mai assunto particolari responsabilità nella virile azienda FIAT.

Sappiamo degli studi umanistici di Edoardo, della sua passione per la storia, le religioni e anche un tocco di esoterismo; a quanto pare amava l’astrologia e per questo nacque una sua querelle addirittura con la scienziata Margherita Hack. Da questo episodio si può già desumere la natura felpatamente riottosa di Edoardo, indocile nel seguire lo stile di famiglia, che implicava sobrietà e comunicazioni strettamente legate all’immagine del gruppo.

La percezione popolare, la poca che egli sollecitava, risultò irrimediabilmente crudele verso il giovane dipinto, già dall’adolescenza, come un giunco esposto al vento della vita, inadeguato a qualunque forma di leadership o di boarding in cui lo avevano inserito: si trattasse di una banca o dell’impresa o della sua amata Juventus, di cui era stato nominato dirigente senza che l’incarico corrispondesse a un concreto potere decisionale.

Nel frattempo circolavano voci indiscrete, segnatamente sull’eccessiva dedizione del rampollo alle notti brave nelle discoteche sotto la Mole, con largo uso di sostanze.

È oltremodo difficile valutare l’aderenza alla verità di queste dicerie. In ambienti di un certo tipo, dove circola molto denaro, presumibilmente tali abitudini sono invalse e pochi riescono a sottrarvisi; bisognerebbe essere addentro a quell’humus, conoscerne sfumature e costumi, per soppesare la reale gravità della presunta dipendenza di Edoardo; il quale fu poi accusato di traffico di stupefacenti in Kenya, secondo alcuni incastrato, nel 1990: e poi prosciolto, chissà a quali prezzi. Abbiamo poi appreso che Malindi è stata, nell’ultimo decennio dl secolo scorso, un rifugium peccatorum per italiani avventurosi.

Edoardo era molto legato alle sorti della Juventus, e appariva ogni tanto in panchina, “per incoraggiamento” a suo dire; si è parlato della sua avversione al presidente formale, Giampiero Boniperti, forse il suo primo scivolone ufficiale: dopo averne chiesto pubblicamente la rimozione, in un’intervista rovente a un quotidiano sportivo, fu sconfessato da suo padre e irriso da Boniperti stesso.

Sul fronte sentimentale, abbiamo lo zero assoluto, né è stato mai immortalato con amiche particolari. Le foto da ragazzo, in compagnia di coetanei di gioventù dorata, al comune cittadino dicono poco. Si trova solo qualche frammento di ipotesi come questa: “aveva avuto qualche aristocratica ragazza, per poi spegnersi lentamente perché si trattava di restare in quel mondo fatto solo di sentimenti si, ma gestiti, orientati, diretti, quindi fasulli e che alla fine non appartengono più alla sfera dei sentimenti, ma assumono i tratti somatici dell’accordo, della combinazione migliore, nulla viene dato al caso, tutto è architettato, anche i matrimoni”. (da Notti notturne, Matteo Tassinari).

Non si riesce mai a capire fino in fondo, dalle interviste e dagli scritti visionabili, se gli stesse a cuore davvero la conduzione dell’azienda o facesse solo questioni di principio. I suoi interessi erano ben diversi e da parte del padre sembra ricevesse un condiscendente affetto, condito da delusione. Osservatori maliziosi hanno insinuato che Gianni addebitasse la “mollezza” del figliolo a un ramo di eccentricità della famiglia materna, i Caracciolo di Castagneto, aristocratici attivi in diplomazia, tosco/partenopei, con il consueto apporto americano, da parte di madre: New York, in particolare, è un posto che ricorre in queste biografie. E’ curioso che nemmeno i parenti materni, editori di media sontuosi come Repubblica ed Espresso, abbiano mai dato una mano al nipote intellettuale: evidentemente non lo ritenevano adatto neppure al settore della comunicazione.

Carmen Gueye

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