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L’OPINIONE: Costituzione? Tutti ti invocano ma nessuno ti difende.

Da diversi anni, ma ancor più in questo ultimo «ventennio», la Costituzione è fatta oggetto di culto indiscusso e indiscutibile, ma non viene difesa dalle politiche. Anzi le politiche governative di questi ultimi ventanni stanno facendo a pezzi la Carta costituzionale. Molteplici sono le sentenze della Corte costituzionale che hanno tolto alla Costituzione i suoi possibili fondamenti oggettivi e naturali, riducendola ad un insieme di disposizioni rispondenti solo ai criteri del positivismo giuridico. A questo si aggiungono molte leggi italiane che sono state approvate in evidente contrasto con la lettera della Costituzione, ma la Corte costituzionale le ha considerate sempre legittime. Non da meno l’opera demolitrice delle sentenze dei giudici ordinari che con i loro interventi hanno contribuito a indebolire il quadro costituzionale rispetto ai suoi riferimenti oggettivi e naturali fissati nella Carta. Quella Carta Costituzionale che appena settantotto anni fa venne redatta , il 22 dicembre 1947, poi promulgata il 27 dicembre 1947 dal Capo di Stato provvisorio, Enrico De Nicola,politicamente di area liberale giolittiana, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Una Carta costituzionale in gestazione a Ventotene, dove si trovavano al confino i maggiori esponenti politici oppositori al governo fascista di Benito Mussolini.

Nella Prima Repubblica la nostra Carta costituzionale non era esaltata fuori misura come invece avviene oggi. Quando ancora esistevano le «grandi ideologie politiche», essa era vista più che altro come un ingombro, un accomodamento temporaneo in vista di nuovi assetti politici da doversi instaurare. I così chiamati “neofascisti”, i liberali, i comunisti, i cattolici erano, per motivi diversi, scettici – fra i quali anch’io – sulla Costituzione il cui testo era nato da un compromesso tra le correnti antifasciste rappresentate nella Costituente.

Quella Costituzione italiana che rappresenta la carta fondamentale alla base di tutto il sistema istituzionale e del processo legislativo italiano. In essa infatti sono definiti non solo i «principi fondamentali» della nostra Repubblica ma anche i «diritti e i doveri» dei cittadini, oltre alla definizione del quadro organizzativo generale, sia dal punto di vista politico che amministrativo. Per questo motivo l’ipotesi di una sua modifica deve essere valutata con grande attenzione e non puo’ essere nè divenire conseguenza di un cambiamento radicale del suo significato: da dichiarazione di princìpi e valori indisponibili a disposizioni interpretate alla luce della cultura dominante. Perché se la Costituzione dovesse divenire frutto di una “decisione” e non contemplare più, come del resto la cultura diffusa, un ordine oggettivo, allora una semplice decisione del presidente del Consiglio può anche sospendere le garanzie costituzionali e nessuno avrà nulla da dire. Già! Del resto è già avvenuto proprio in tempi recentissimi.

Nella Costituzione italiana del 1947 si afferma un legame  strettissimo con la «società plurale», come non è esistente in tutte le altre costituzioni di altri Paesi. Questo legame è cosi’ tanto stretto da fare di quella , Costituzione, l’espressione fedele di questa, società plurale. Potremmo pero’ domandarci se non sia ovvio che una società sia ‘plurale’? Anzi, che non possa non essere ‘plurale’? Un siffatto ragionamento sarebbe apprezzabile se si desse a quel ‘plurale’ un significato puramente «quantitativo», essendo ovvio che una società democratica, grande o piccola che sia, non può che essere formata da un certo numero di individui uguali in doveri e diritti, senza alcuna distinzione. Ma la Costituzione italiana va ben oltre il quantitativo aggiungendo la valenza «qualitativa», puntualizzando nei suoi articoli che è la Costituzione di una società che valorizza e tutela tutte le diversità che la rendono complessa e dove, pertanto, protagonisti sono gli uomini e le donne , senza distinzione di sesso o di razza, i ricchi come i poveri, i potenti come gli inermi, i sapienti come gli ignoranti, e così via.  Si propone, in tal modo, una netta differenziazione rispetto a società come quella dell’Italia monarchica e successivo governo Mussolini dello Stato e Era Fascista, iniquamente cetuale perché fondata su dei ceti privilegiati, ma anche rispetto a quella borghese della rivoluzione francese ancor oggi definita della ‘’modernità’’, la quale, condizionando l’esercizio della rappresentanza politica al possesso di un certo censo, si risolveva in una oligarchia (sia pure di carattere solo censitario). 

La Costituzione italiana del 1947  ci da quindi una società autenticamente democratica. Ma ancor di più: la Costituzione italiana cosi’ come redatta nel 1947 chiama l’intero popolo d assumersi la responsabilità di costruirsi la propria storia. Ed è qui che si afferma una sostanziale e sostanziosa pluralità. Ripetiàmolo per chiarezza: una Costituzione dove si ha piena valorizzazione e pieno rispetto della complessità sociale in tutte le sue sfaccettature, sia di soggetti singoli, sia delle più diverse formazioni sociali.

A differenza dalle ‘carte dei diritti’, espressioni dunque di uno Stato monoclasse e di una civiltà decisamente individualistica, la genesi della Carta costituzionale italiana è quella di un «costituzionalismo novecentesco», pos-moderno, testimonianza di uno Stato pluriclasse e, quindi, di una società pienamente plurale, ed esprime una realtà storicamente ben definita: il contesto concreto del popolo italiano, che sta vivendo, dal 1943 in poi, uno straordinario rinnovamento etico civile politico.

La dimostrazione che non siano, queste, delle parole a vuoto ce la offre la stessa Assemblea Costituente nei due anni di fitto e serrato lavoro. In essa è presente il fior fiore degli intellettuali italiani, molti dei quali ritornati da un lungo esilio; molti erano giuristi. Erano, questo sì, ideologicamente assai diversificati – cattolici, liberali, marxisti – e avrebbero potuto facilmente diventare preda di rissose contrapposizioni. Si fecero, invece, latori di due atteggiamenti salvanti. Vollero leggere nelle trame della società per identificarvi il sostrato di valori portanti. Vollero, ad ogni costo, individuare alcuni basilari punti di  convergenza. 

Ho usato un verbo, che può apparire stonato: leggere. L’ho scelto con la precisa intenzione di sottolineare il primato di un ‘’atteggiamento cognitivo’’, come – del resto – segnala il largo uso del verbo ‘riconoscere’ fatto dai Costituenti. Il che vuol dire una cosa molto semplice: che questi uomini e donne di buona volontà non tenevano a esprimere posizioni potestative, né creare ex nihilo alcunché, bensì registrare con umiltà il primato storico e logico della persona umana rispetto allo Stato, posizione di indispensabile discontinuità ed essenziale differenziazione dalle scelte autoritarie, che aveva strumentalizzato il cittadino al potere dispotico dello Stato.  Un ‘’umiltà politica’’ che oggi molto spesso è assente nei nostri politici.

L’articolo 2, è fondamentalissimo in seno alla nostra Carta, poiché si riferisce a un reticolato di “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, facendo emergere vistosamente quella nervatura solidale che fonda e sorregge tutta la dimensione costituzionale italiana. Con esso viene indubbiamente meno la visione accesamente individualistica dell’ordine sociale e giuridico che era propria della rivoluzione francese (anche del suo momento giacobino), dove la società è risolta in una piattaforma sociale concepita come la somma di un numero infinito di «formiche umane» atomisticamente considerate e dove si attua, senza una perplessità, la cancellazione di qualsiasi formazione sociale. Cosa, invece, che oggi si vuole tornare a riscrivere con le modifiche apportate e che si vogliono apportare alla Costituzione sull’onda di ‘’progetti politici e culturali’’ estranei al nostro Paese, facendo si che la volontà del Governo non deve trovare ingombri e impedimenti alla sua azione da parte di coagulazioni sociali in qualche modo concorrenti come sindacati, partiti, corporazioni religiose assistenziali professionali. Tutte queste comunità intermedie devono essere anéanties (annichilite), secondo l’espressione della «legge rivoluzionaria francese» di Le Chapelier del 1791. 

Questi organismi sono invece elementi essenziali e per cio’ ineliminabili del «corpo sociale» e della «comunità familiare» ed i padri costituenti lo sapevano bene inserendoli nella Costituzione all’art. 2, dove si parla de “le formazioni sociali, ove si svolge la sua (del singolo uomo o donna) personalità” è niente altro che la traduzione di un fecondo lavorìo assembleare in una fondamentale affermazione di principio.

Nella nostra Costituzione è il cittadino, ogni cittadino, nessuno escluso, l’interlocutore dei Patres e il protagonista della ‘Carta’. Per giunta è quella persona sorpresa anche nella sua spesso difficile esistenza ad essere meritevole di essere adeguatamente tutelata.

La Costituzione italiana del 1947 ha una struttura nuova del «prodotto storico ‘Costituzione’» e, se, talora, per alcune ‘carte dei diritti’ si parla, nelle locuzioni francese e inglese, di ‘Costituzione’ e di ‘Atto costituzionale’, allo stesso nome non corrisponde una parità di contenuti sostanziali e fondamentali che la nostra Carta invece mette nero su bianco: libertà , uguaglianza (diritti e doveri), religioni ( e non religione), culture (e non cultura), scuola, ricerca scientifica, economia, lavoro, salute, paesaggio, e via ancora, avendo a punto di riferimento l’esistenza dell’uomo comune, nella sua esistenza quotidiana. 

La domanda che dobbiamo porci allora è una sola : perché volerla cambiare , volerla modificare?

In quasi 80 anni la Costituzione è stata rivista più di 20 volte. Dal 1963 ad oggi il Parlamento ha approvato in totale 21 modifiche della Costituzione. Una prima serie di riforme vide la luce tra il 1963 e il 1967. In quel periodo il Parlamento approvò modifiche di sistema molto rilevanti stabilendo un numero fisso di deputati e senatori, l’istituzione della regione Molise e la ridefinizione della Corte costituzionale. Un altro periodo molto prolifico fu quello intercorso tra il 1999 e il 2012, infatti entrarono in vigore 9 diverse leggi di modifica della Costituzione , come la riforma del titolo V, promossa dai governi di centrosinistra ma che in buona misura riprese il lavoro già svolto dalla bicamerale. Una revisione che modificò profondamente il rapporto tra lo Stato e le autonomie, mentre non fu dato seguito a quanto discusso sulle prerogative dell’esecutivo e del presidente della repubblica. Come non andarono in porto altri tentativi di modifica operati in questo periodo, per esempio quello promosso dal governo Berlusconi, nella legislatura 2001-2006, finalizzato a rafforzare i poteri del presidente del Consiglio e l’assetto federale dello Stato. L’ultima riforma di questa fase, che risale al 2012, prevedeva l’inserimento in Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio, richiesto dall’Unione Europea  ma anche a fronte della difficile situazione finanziaria in cui versava l’Italia in quel momento, e ricevette il voto favorevole di un’ampia maggioranza (all’epoca era in carica il governo Monti che succedeva al governo Berlusconi obbligato a dare le dimissioni, a mio parere un vero e proprio colpo di Stato – unico riuscito nell’Italia del dopoguerra).  C’è poi un’ultima fase più recente, legata alla riduzione del numero dei parlamentari approvato nel corso della XVIII legislatura e dei conseguenti correttivi resisi necessari. Quest’ultima fase è iniziata nel 2020 e si è conclusa nel 2022 con l’abbassamento a 18 anni dell’età richiesta per votare per il Senato.

Successivamente sono state apportate altre modifiche su materie specifiche, tra cui l’ambiente e lo sport. Da notare che con l’inserimento della tutela ambientale in costituzione è stato anche modificato un articolo – il nono – che fa parte dei «principi fondamentali» , enunciati nella prima parte della Carta. Per arrivare a oggi, con l’arrivo a palazzo Chigi del governo Meloni, in cui si è tornati a parlare di possibili modifiche dell’attuale forma di governo con la bozza approvata  in consiglio dei ministri che prevede, tra le altre cose, l’elezione diretta del presidente del Consiglio e la conseguente riduzione dei poteri del presidente della Repubblica (modifiche dalla grandissima rilevanza politica e che andrebbe a modificare in maniera significativa il nostro sistema istituzionale). Un cambiamento così rilevante necessiterebbe di un ampio consenso, sia nelle aule parlamentari che nel Paese e, anche queste come la maggior parte delle riforme approvate è di dettaglio, non trattandosi infatti di grandi riforme di sistema costituzionale ma di ‘’adattamento’’ della Costituzione alle richieste parlamentari. Si potrebbe dire che il Parlamento legiferava e legifera fuori Costituzione e per rendere le leggi costituzionalmente valide si modificava e si vuole modificare la Costituzione. Ecco perché , soprattutto le politiche governative effettuate in questi ultimi ventanni, le leggi pongono molti problemi di «legittimità costituzionale» davanti ai quali sembra interessante chiedersi perché non ci sia stata finora una adeguata reazione in difesa della Costituzione, soprattutto dall’organo dello Stato proposto a cio’: la Corte costituzionale. Tanto più che oggi la Carta costituzionale è ossequiata più che mai e proclamata la più bella del mondo. Ma allora perché gli italiani e soprattutto i parlamentari e membri la Corte Costituzionale non la difendono?

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.