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ACAB: la sigla che rappresenta una protesta

La scritta ACAB è acronimo di una frase inglese, che personalmente scoprimmo su un muro di San Francisco tanti anni fa; “all cops are bastard” (non c’è bisogno di traduzione, vero?). Cop è il poliziotto, che in francese diventa flic, per esempio: la figura assume su di sé il peso di un giudizio che pare lasciar fuori i corpi militari come gendarmi e carabinieri, i quali pure esercitano la stessa attività.

Il poliziotto non gode di gran simpatia; Manzoni lo chiama “birro”, poi nel gergo italiano divenuto sbirro (forse dall’antico colore delle divise); in seguito è diventato piedipiatti e chi più ne ha, ma mai si è sentita definizione popolare prestigiosa o che onori sacrifici anche umani della categoria. Quasi fosse un balzello che i guardiani dello stato oppressore devono pagare, lo scherno, il sarcasmo, quando va bene.

Ci provò Pasolini a proporre un diverso punto di vista, ma l’intellettuale è sempre avanti e il defunto regista in particolare lo era a tal punto, che non lo vediamo nemmeno adesso vicino a noi. Chi erano i tanto vituperati “celerini”? Quasi sempre ragazzi del povero sud, insaccati in divise, addestrati a fronteggiare un mondo che non conoscevano, dacché arrivavano direttamente dai campi o al massimo da qualche cantiere, sottopagati e sfruttati.

Una legge del 1981 li sindacalizzò, riconobbe diritti, consentì l’ingresso alle donne, almeno in Italia, altrove già c’erano. Tutto cambiò, entrarono diplomati e laureati anche tra i ranghi inferiori, televisione e cinema crearono eroi come il commissario Cattani (prima i commissari erano al massimo vittime irredente come Calabresi); e fioccarono distretti, squadre, spaccanapoli e via dicendo (con attori come Ricky Menphis fissi nel ruolo); fin agli ultimi sospetti che alcune fiction siano addirittura finanziate dalla malavita.

Così il giro si è compiuto, il poliziotto sconta un’appartenenza, ma non si erge a categoria autonoma e pensante, rimane protagonista epico o vittima o, per molti, ancora il nemico. A volte non è nulla di tutto ciò: né eroico, né nemico, né vittima, solo un lavoratore come tanti.

Ma, afferma più o meno nel libro “Genova sembrava d’oro e d’argento” l’autore ex agente Giacomo Gensini (trama, il G8): lui, l’uomo in divisa, sa che c’è del marcio in ogni essere umano. Ed è questa, forse, la sua dannazione? Che, per quanto ce lo possiamo ritrovare accanto al corso di danze latine o alla sagra dell’asparago, lui ti guarderà sempre come indagato e tu diffiderai in ogni caso? Che se pure lo ami, lo sposi, non sarai mai “dei suoi”? Perché egli è addestrato a studiarti e sezionarti la vita, non a capirti o a condividere: lui è “dall’altra parte”.

Così accade che quando arriva una pellicola, o meglio qualche clip musicale o ancora un documentario” “on the road” da oltreoceano, in fondo è così che lo vogliamo, come ce lo presentano: grosso, possente, implacabile e politically scorrect. Insomma, un “ACAB”.

E dunque quale il senso delle polemiche odierne? Che “ACAB” ci piace solo quando lo mandano contro chi ci è antipatico?

Carmen Gueye