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Ambiente Società

Il neoliberismo che uccide le città

Più di 300 anni fa Giuseppe Parini parlava così degli speculatori che rovinavano la sua Milano: “Pèra colui che primo / a le triste oziose / acque e al fetido limo / la mia cittade espose; / e per lucro ebbe a vile / la salute civile”. Il poeta, poi, comparava con tono sostenuto la fetida vita della città, ammorbata dalle pestifere esalazioni di cadaveri in decomposizione e rifiuti lasciati in strada, e la salubre vita della campagna.
La situazione, in questo senso, sembra essere migliorata. Ai cadaveri si sono sostituiti i cumuli d’immondizia, gli sversamenti nocivi delle industrie, l’inquinamento elettromagnetico: ma negli ultimi tempi anche il neoliberismo sta uccidendo le nostre città.
Il povero Parini non poteva immaginare terre agricole riutilizzate sì per costruire abitazioni, ma a un prezzo esorbitante per i cittadini e con lauto guadagno degli appaltatori (questo successe a Firenze); non aveva a che fare con gli ecomostri che deturpano la vista quotidianamente o, rimasti sulla carta, sono il nostro zimbello internazionale come il ponte sullo Stretto di Messina; non aveva a che fare, infine, con la “riqualificazione” fasulla di cui tanti governi passati e presenti si sono fatti scudo.
Questi governi, dai mille nomi e volti, si sono posti, nel corso del loro avvicendarsi, sotto l’egida dei grandi finanzieri, degli speculatori e degli appaltatori: non importava quali fossero le ideologie o i rischi possibili, il guadagno era l’unica legge ammessa.
Ciò accade tutt’oggi: le leggi proposte, discusse e introdotte passano sopra l’obiettivo proprio dell’urbanistica, quello di difendere i diritti dell’uomo, e, insieme a questi, la dignità e la bellezza delle nostre città.
Il neoliberismo in economia annienta la collettività riunita nella città e la rende un mero calcolo economico. La nostra città è strangolata da due tendenze: da una parte le angherie della finanza speculativa, dall’altra la penuria di risorse per assicurare il funzionamento della città stessa.
Bisogna dire anche che questa struttura ha raccolto molti apprezzamenti tra le persone, poiché alla rendita derivata dagli immobili concessa ai costruttori, nel momento di espansione dell’economia nostrana, è arrivato anche il rincaro del prezzo degli immobili, che avvantaggia moltissimo i proprietari di abitazioni. Tre grandi entità, per differenti motivazioni, si sono aiutate reciprocamente nella distruzione dei terreni agricoli: i cittadini, gli amministratori della cosa pubblica e gli speculatori edilizi.
La crisi dell’economia e la successiva diminuzione del valore degli immobili hanno lasciato, però, i guadagni ai costruttori e ai cittadini i danni. Chi ha aperto un mutuo per ottenere l’acquisto della casa, ora paga un prezzo molto superiore all’effettivo valore del bene acquistato.
Lo spazio abitativo viene così a ingolfarsi e a svuotarsi allo stesso tempo: le persone, in ristrettezze economiche, rinunciano ad acquistare l’abitazione; nel frattempo viene costruito di tutto, ma con un occhio di riguardo a hotel di lussocentri commercialiresidenze fastose.
Questo sta accadendo a Rawabi, una città-cantiere palestinese a cielo aperto: vi si sta costruendo tutto quello che si potrebbe desiderare, sennonché gran parte delle leve di comando è israeliana. Ciò fa storcere molto il naso ai locali, ma chi gestisce il progetto non se ne cura: l’importante è che Rawabi si trasformi in un centro di attrazione per l’intera Palestina, che arriverà qui per fare spese e per divertirsi. I negozi sono pronti, gli spazi già acquistati da boutique e aziende internazionali.
Osservando questo, la necessità di rendere i palestinesi una comunità di consumatori è lampante. Un moderno capitalismo, edificato sui servizi e sulla dismissione dell’economia di produzione, negli ultimi tempi ha però portato a una situazione poco sostenibile: per ridurre il deficit e provare a liberarsi dai sostegni internazionali (il 75% del bilancio palestinese) la sola misura congegnata è aumentare le tasse.
Un obiettivo impossibile per una società che non produce quasi più nulla. Questa è la peggiore realtà capitalistica: un neoliberismo basato sui servizi e avulso dalla realtà. Gli esiti potrebbero essere funesti: a essere permessa sarà la pura sopravvivenza.
L’augurio di un cambiamento si basa sui comitati e sulle associazioni, che davanti al deturpamento del territorio devono unirsi in una sola lotta, da fare nella legittimità costituzionale e sotto la protezione della sua etica, che coinvolge i principi di libertàequità e solidarietà.
di Narciso Pasquale