“Cogito ergo sum”: così nel XVII secolo il filosofo francese René Descartes sintetizzava in questa famosa massima tutto il pensiero razionalista europeo, estendendo così le certezze tipiche delle discipline scientifiche a ogni ramo del sapere umano. Certezze che pongono la loro base nel dubbio, come qualche secolo più tardi avrebbe confermato l’epistemologo austriaco Karl Popper, secondo il quale si può parlare di scienza solamente quando essa è potenzialmente falsificabile.
E’ il dubbio a muovere i fili della storia, è il dubbio a permettere il progresso, è il dubbio il motore della curiosità umana e il veicolo che porta alle nuove scoperte. Senza il dubbio, le domande, rimangono solo le verità imposte, risposte senza domande, e di conseguenza non si sente la necessità di andare oltre e di scoprire cose nuove.
Questo concetto l’Europa l’ha capito all’incirca quattro secoli fa con la rivoluzione scientifica di Galilei e quella razionalista di Cartesio: con loro inizia una nuova fase in cui non si accettano più verità conclamate durate quasi un millennio. Per tutto il Medioevo (e oltre) l’Europa non si è mai posta dubbi, sicura che i riscoperti greci – soprattutto l’estimatissimo Aristotele – avessero già dato le risposte esatte a tutti i quesiti dell’uomo.
In quel lungo periodo di tempo vigeva una regola ben precisa: quella dell’ipse dixit, ossia del “l’hanno detto loro”, “l’ha detto lui”. Talmente egemone e serrata era questa corrente di pensiero che si preferiva dare ascolto agli scritti di uomini vissuti millenni prima piuttosto che ai propri stessi occhi. Nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Galilei racconta, attraverso la bocca del personaggio Giovanni Sagredo, un aneddoto di una lezione di anatomia a casa di uno stimato medico veneziano che avrebbe dimostrato attraverso una dimostrazione pratica da dove nascano i nervi; l’esperienza sensibile portò alla luce che era il cervello l’origine del sistema nervoso, e non il cuore come sosteneva Aristotele, eppure un gentiluomo aristotelico rispose all’amico medico che se non fosse stato per Aristotele che aveva indicato il cuore come il punto di partenza dei nervi allora avrebbe potuto credere a quanto mostratogli.
Il dominio dell’ipse dixit era talmente forte da sconfiggere la realtà stessa: la parola di Aristotele era più importante dei risultati obiettivamente riscontrabili dall’esperienza sensibile. Se durante una lezione di medicina, in una qualsiasi università europea, sezionando un cadavere si fosse trovato un organo in una posizione diversa rispetto a dove l’aveva collocata Aristotele nelle sue tavole, la conclusione sarebbe stata evidente: il cadavere era difettoso. Non era Aristotele ad essersi sbagliato, era la realtà ad esserlo.
Dopo le lente ma vittoriose battaglie degli eliocentristi, dei razionalisti, degli illuministi, degli epistemologi e via discorrendo, il mondo sembrava essersi finalmente liberato una volta per tutte dall’oscura presenza dell’ipse dixit, abbracciando il dubbio nell’esplorazione di un mondo tutto da riscoprire.
E’ durata poco questa festa: negli ultimi anni si è osservato un sempre più preponderante riaffermarsi dell’ipse dixit facendo ripiombare il mondo – in particolare l’Occidente, nello specifico l’Europa – in un rinnovato Medioevo travestito secondo la moda del XXI secolo: sono tornate le verità assolute, i principi intoccabili e soprattutto i “dogmi”.
E’ triste da dire ma è un’osservazione facilmente constatabile: se il Novecento è stato il secolo delle ultime lotte popolari per la libertà, il 2000 ha dato il via a un’epoca dove l’intera conoscenza umana è a disposizione di tutti eppure si preferisce dare ancora ascolto ad intermediari. E’ come se l’uomo del mito della Caverna di Platone, trovandosi a pochi passi dalla luminosa uscita dalla grotta, preferisse rimanere sull’uscio anziché uscire finalmente di lì.
Oggi l’ipse dixit è giornalisticamente conosciuto come il famigerato “Pensiero Unico”, appellativo talvolta esasperato ma generalmente consono ad indicare la graniticità e l’inscalfibilità di verità assolute venutesi ad affermarsi progressivamente dalla seconda metà del secolo scorso. Come chi 500 anni fa andava contro Aristotele era considerato un eretico, oggi chi non accetta i dettami del Pensiero Unico è tacciato di populismo e idiozia.
Il Pensiero Unico, nuovo ipse dixit del Medioevo contemporaneo, si è imposto in ogni aspetto della vita umana; soprattutto in quelli inerenti alla politica e all’economia.
Il Pensiero Unico inganna, mente, afferma di avere le ricette a tutti i mali del mondo. E il volgo penzola dalle sue labbra applaudendo a ogni sua parola. Eppure la realtà è ben diversa da come la dipinge il Pensiero Unico e l’ammira la società: è innegabile la decennale stagnazione economica europea, l’impoverimento generale e la riduzione dei diritti dei lavoratori; la precarietà e la disoccupazione hanno raggiunto cifre tanto ridicolmente alte da abituare la società a questa riconclamata povertà, esultando a un +0,qualcosa del Pil (incrementi talmente bassi da non essere assolutamente incidenti).
E’ sensibilmente osservabile il peggioramento della società europea, eppure essa preferisce dare retta alle parole dei rinomati “esperti” che dicono di avere la soluzione ad ogni problema; problemi avvenuti sotto la guida di quegli stessi “esperti”. Nonostante il confermato fallimento di politiche attuate da potenti istituzioni come il Fmi e l’Omc – dall’inspiegabile riduzione della spesa pubblica alle insistenti privatizzazioni – esse continuano ad essere perpetuate e difese dalle stesse vittime di tali politiche.
Come 500 anni fa il problema di fondo era l’ipse dixit, così oggi lo è il Pensiero Unico. E come quattro secoli fa la risposta fu la messa in discussione dei dogmi dominanti dell’epoca, così oggi la nostra panacea non può essere che il ritorno a un sano e ponderato dubbio. I mezzi ci sono, a differenza di una volta: basta scrollarsi di dosso quest’insopportabile pigrizia intellettuale smettendo di prendere come oro colato e verità assiomatiche tutto ciò che esce dalla bocca degli acclamati “esperti”. Basta semplicemente tornare a guardarsi intorno e osservare il mondo attraverso i propri occhi.
Giuseppe Comper