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L’opinione: si chiudono le scuole, le università per il ramadan… sapete cosa è la “dhimmitudine”?

Basterebbe fare un giro su Google per conoscere cosa vuol dire «dhimmitudine» e capiremo come l’Italia sia su quella strada.

Ma poiché non amo il «non detto» eccomi allora a dirvi cosa essa sia: dhimmitudine è un neologismo derivante dall’arabo dhimmi, usato per definire l’attitudine dei non islamici a sottomettersi ai musulmani.

In questi ultimi anni stiamo assistendo a uno degli sviluppi più straordinari nella configurazione dei rapporti tra istituzioni italiane e musulmani: l’adeguamento del cibo nelle mense dagli asili nido e finanche nelle carceri, l’applicazione di «chiusure» dei luoghi lavorativi, di scuole e università nel corso di festività islamiche e le modifiche architettoniche (l’occultamento e finanche il togliere figure che possano disturbare chi è di fede religiosa islamica) musulmana. In alcune località persino le «piscine pubbliche» hanno creato «spazi separati» destinati alle donne e agli uomini. E come non ricordare la scuola o, per ultimo, la chiusura dell’Università di Siena per il Ramadan. Si tratta di una novità culturale ma anche politica dirompente che riveste un significato rivoluzionario per l’Italia: un’ombra di «dhimmitudine» si sta diffondendo in Italia.

Ufficialmente oggi in Italia ci sono circa un milione e mezzo di immigrati musulmani (fonte ministero degli Interni). Rigurgita di imam e di moschee. Non di rado ormai si possono incontrare uomini con turbanti e altri con barbe e donne che vestono il chador ma anche il burqa e guai a protestare: sei un razzista! Sei un islamofobo! Allora con il nostro buonismo e con il nostro «filoislamismo» (anche a livello istituzionale) parliamo di ‘’integrazione’’ quando, invece, vogliamo evitare ‘’problemi’’ con il mondo islamico che, ormai, anche economicamente s’impone in Italia e quindi viviamo come già sentendoci «dhimmi» (protetti). Ma questo sentimento di dhimmitudine è una trappola ideata dalle moderne élite islamiste, a cominciare dall’Arabia Saudita e Qatar, per la conquista dell’Italia, dell’Europa e del Mondo. Una trappola che già comincia a funzionare in Italia dove, volenti o nolenti, consapevoli o meno, già molti collaborano da tempo alla propria metamorfosi in «dhimmi». Una dhimmitudine che è condizione di sottomissione dei non musulmani all’interno dei loro paesi non islamici che, piano piano, divenuta islamico. La dhimmitudine è caratterizzata da una cultura della resa e della sottomissione passiva imposta dai suoi leader, che aderiscono alla «causa della comunità islamica» per interessi finanziari e ambizioni personali. Ma la dhimmitudine, è bene ricordarlo, comporta tributi da pagare e discriminazioni obbligatorie da subire.

Tra i «servigi» di questa «dhimmitudine occulta» dell’Italia c´è il lassismo nei confronti dell´immigrazione musulmana. C’è la tolleranza dei separatismi culturali sul proprio territorio. C’è la concessione di aiuti finanziari ad associazioni come i Fratelli Musulmani che da anni sono al vertice dell’UCOII. C’è il discredito di chi si oppone finanche a creare leggi ad hoc. C’è la comprensione per il terrorismo palestinese e islamista. C’è il silenzio su secoli di jihad islamica rimpiazzato all’autoflagellazione per le crociate: il male viene attribuito a ebrei e cristiani per non urtare la suscettibilità del mondo musulmano, che rifiuta ogni critica al suo passato di conquiste. Insomma: l’antico universo della «dhimmitudine», con la sottomissione e il servilismo come pegni di sopravvivenza – anche a livello governativo, ricordate il Lodo Moro? – , è stato oggi ricostituito in Italia. Un Italia già in piena «sindrome dhimmi».

Come dovremmo valutare anche il fatto che dal gennaio 2016 l’Ordine dei Giornalisti censuri l’utilizzo del termine “clandestino” per gli immigrati irregolari, nel Testo Unico dei Doveri del Giornalista, pena l’avvio del procedimento disciplinare? Oppure, come accaduto all’inizio del 2023 quando il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza di condanna nei confronti del partito Lega Nord, per avere utilizzato il termine “clandestino” in alcuni manifesti (“Renzi e Alfano complici dell’invasione. Saronno non vuole clandestini”, n.d.r.), termine che il Tribunale indica come avere un significato denigratorio? È noto come oggi basti pronunciare soltanto alcuni termini perché scatti l’accusa di reato: basta aggiungere al termine il suffisso “fobia” e scatta la condanna, sociale o giudiziaria.

Quanto vorrei sbagliarmi ma resta il fatto che l’attuale conflitto tra Israele e Hamas fa emergere nelle nostre strade, piazze e istituzioni la dhimmitudine filoislamico come protezione. E questo avviene mentre in Italia, ponte di attracco verso l’Europa, avanzano schiere di migranti, in prevalenza di fede islamica, che non ambiscono a ritornare nel loro paese di origine ma ad acquisire cittadinanza: sono i «nuovi italiani». La maggioranza di questi migranti rifiuta l’integrazione e ingrossa le fila delle rivendicazioni culturali e religiose e delle invidie ‘’anti-occidentali’’, basi del fondamentalismo, come dimostrano ampiamente le cronache delle città italiane, con le aggressioni, e le città europee. Lo «auto boicottaggio» delle nostre tradizioni e culture giudaiche-cristiane, illuministe e/o tradizionaliste per dare spazio e giuridicità o, per meglio dire, legalità ufficiale alla cultura e tradizione islamica in Italia non fa altro che favorire un processo di giustificazione e di legittimazione della jihad, vale a dire dell’ideologia che ordina e pianifica la distruzione della società «crociata» e la sua islamizzazione.

È dal 1793 che coloro che governavano l’Italia hanno cominciato a «negoziare» accordi con i Paesi islamici che miravano a favorire e diffondere l’arabizzazione e l’islamizzazione del Paese per mezzo dell’immigrazione, con la diffusione della cultura islamica, con il rigetto delle proprie radici giudaico cristiane e con l’adozione del «multiculturalismo» che avrebbe dovuto garantire la pace nel Paese e far affluire somme ingenti di ‘’petrol dollari’’. Ed è sempre dal 1973 che l’Italia ha cominciato a siglare «accordi top secret» con le frange dell’estremismo terroristico arabo, lasciando che il nostro Paese divenisse base di «ritiro organizzativo» e «transito» per i gruppi armati islamici. Accordi naturalmente ignorati dai cittadini elettori. E’ cosi che l’Italia non è stato oggetto di «attacchi» e/o «attentati» , se non quando ha disatteso tali accordi. Ed è sempre grazie a questi «accordi» che l’islam ha terreno fertile per svilupparsi.

Questa in-evoluzione, che è contraria alle libertà democratiche fondamentali, ha sviluppato in Italia i processi della dhimmitudine. Così , oggi, studenti, professori, rettori, giornalisti, filosofi, religiosi e magistrati vivono nella dhimmitudine, divengono complici dell’islamismo moltiplicando i pregiudizi sulla civiltà occidentale, tanto da annunciare pubblicamente e con «atti pubblici» la fine della cultura e tradizioni occidentali. A questo poi possiamo aggiungere il «cancel culture», il «wokismo», il «politicamente corretto» con cui l’Occidente «deve scontare le sue colpe e purificarsi» (ecco da dove viene il trionfo di alcune filosofie orientali) e in nome di questo purismo deve convertirsi all’ecologismo e al naturalismo, contro la città e l’industria, contro il rinascimento delle arti e delle invenzioni.

L’ideologia contro la città e la produzione trova un terreno comune con l’islamismo nella misura in cui combatte i modelli occidentali. È una battaglia contro la produzione e il profitto, contro l’impresa e le tecnologie, contro il mercato. È una battaglia contro le idee nuove, che contrappone all’ingegno di ciascuno la comunità fondata sull’ideale comunanza delle risorse. Non è un caso che spesso coloro che inneggiano all’immigrazione, all’apertura all’islamismo siano gli stessi che propagandano il «cancel culture», il «wokismo» , il «politicamente corretto»  infliggendo ogni giorno un colpo mortale all’Italia, all’Occidente. Queste «ideologie» ci impongono di accettare l’immigrazione come l’inizio di una nuova civiltà innanzi al declino della civiltà occidentale.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.