Nell’immaginario comune, sopravvivere ad un attentato dell’Isis potrebbe essere percepito come un dono straordinario, un regalo inatteso che il destino fa strappandoti ad una sorte già scritta. Non è però stato così, purtroppo, per Shanti De Corte, 23 anni, che non si è mai ripresa dagli attentati del 22 marzo 2016, una serie di tre azioni terroristiche che, come si ricorderà, ebbero luogo nell’area metropolitana di Bruxelles. Quel giorno morirono complessivamente 32 persone e ne rimasero ferite ben 340.
Tra i superstiti di quella strage, c’era Corte, all’epoca diciassettenne, la quale se ne stava nella sala partenze dell’aeroporto di Bruxelles-Zaventem, il principale del Belgio, insieme a 90 studenti della scuola Sint-Rita di Kontich, in provincia di Anversa: erano tutti pronti per un viaggio in Italia. La studentessa riuscì a scampare all’attentato senza riportare ferite fisiche, ma nella sua mente quel 22 marzo 2016 non è purtroppo mai finito. La giovane ha così iniziato ad accusare attacchi di panico continui, che l’hanno condotta in un grave stato depressivo dal quale, nonostante i farmaci (ne assumeva fino a 11 al giorno), non è più riuscita a riprendersi.
Tanto che era già arrivata a tentare il suicidio ben due volte: la prima nel 2018, la seconda nel 2020. Alla fine, secondo quanto ha raccontato a inizio settimana dalla madre Marielle al canale belga Vrt, Shanti De Corte però ha ottenuto ciò che voleva: la morte. Il suo decesso è avvenuto il 7 maggio di quest’anno e, pur nella drammaticità assoluta della vicenda, si tratterebbe di un suicidio come un altro, se non fosse avvenuto su richiesta.
Sì, perché la morte della giovane ha avuto luogo previa approvazione di due psichiatri. Il loro placet è giunto alla luce della normativa belga, tra le più liberali al mondo su tale versante, che stabilisce come, per accedere alle procedure di morte assistita, basti vedersi riconoscere uno stato di «sofferenza psicologica costante, insopportabile e incurabile».
Inizialmente, la giovane aveva incontrato delle difficoltà, e quindi dei rifiuti, a farsi certificare come soggetto sofferente in modo «costante, insopportabile e incurabile», anche se alla fine, come si diceva, è riuscita nel suo intento di morte. Ora però che la sua storia è stata resa nota, si stanno sollevando delle polemiche. Infatti, se secondo Yves de Locht, medico di famiglia belga, De Corte «era in una tale sofferenza psichica che la sua richiesta fu logicamente accolta», non tutti concordano. Un neurologo dell’ospedale universitario Brugmann, tale Paul Deltenre, coinvolto nel caso, ha per esempio dichiarato all’emittente pubblica Rtbf ciò che pare intuitivo a chiunque, e cioè che quell’eutanasia non avrebbe dovuto avere luogo, anche perché alla giovane donna erano state offerte altre opzioni terapeutiche.
Conseguentemente, i pubblici ministeri di Anversa hanno ora avviato un’indagine per chiarire se davvero la “dolce morte” di Shanti De Corte sia avvenuta nel rispetto della legge belga oppure se si sia trattato, per quanto col consenso dell’aspirante suicida, di una forma di abuso.
Giuliano Guzzo