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Pelè: “O Rei” per sempre

In ogni angolo del mondo la figura del re ha segnato e segna tutt’ora la vita all’interno di comunità e regni. Questo titolo di sovrano ha radici antichissime; riprende il latino “rex”, che a sua volta deriva dal sanscrito “rags” e significa “colui che risplende”.

Di re che si sono distinti nel lungo arco cronologico della storia ce ne sono stati molti, basti pensare ad Hammurabi, Assurbanipal, Carlo Magno e Luigi XIV, solo per citarne alcuni. Tanti regni, quindi, hanno avuto il proprio “basileus”, per dirlo alla greca. Ma il re non è noto solamente per i suoi compiti di governo o di matrice sacra e spirituale.

Pelé, o meglio “O Rei”, è stato un simbolo nel mondo calcio, in particolare tra gli anni ’50 e ’70 del XX secolo. Egli coniugava abilità tecniche e atletiche come pochi altri nella storia, tanto da portare il Brasile sul tetto del mondo in tre edizioni dei mondiali (1958, 1962, 1970).

Fin qui è stato l’unico calciatore al mondo a compiere l’impresa in carriera, impreziosita da numerosi titoli individuali, come il pallone d’oro FIFA onorario. Onorario, appunto. Sì, perché esso veniva assegnato solamente ai calciatori nati in Europa, precludendo così la vittoria dell’ambito trofeo a molti sudamericani, Pelè e Maradona su tutti.

Nonostante fosse un goleador, in grado di mettere a referto più di milleduecento goal in carriera, Pelè è ricordato da tutti con la sua iconica maglia numero 10, quella dei fuoriclasse e dello “joga bonito”. Tuttavia, lo stesso Pelè ammise che vestì quella prestigiosa maglia per la prima volta per un puro errore, una pura coincidenza; erano i mondiali del 1958 e il giovane asso brasiliano si ritrovò a sopportare il peso di quella maglia durante tutto il torneo.

“O Rei” all’epoca era ancora diciassettenne, ma ciò non fu d’intralcio per il giovane verdeoro; prima la rete contro il Galles che consentì alla Seleção di approdare in semifinale, poi la tripletta contro la Francia per portare il Brasile in finale. La Svezia fu l’ultima avversaria prima della gloria, annichilita anche qui con un secco 5-2. Il mattatore? Ancora il re del calcio, Pelè, autore di una doppietta.

Nel corso dei mondiali vittoriosi del 1962 Pelè non riuscì a contribuire in maniera netta alla vittoria del Brasile, complice un infortunio patito nel corso della seconda gara. “O Rei”, quindi, trascinò nuovamente la nazionale verdeoro nel mondiale in Messico del 1970. In quest’edizione, oltre a goleador, Pelè si trasformò anche in assistman; ad affrontarlo in finale c’era l’Italia, che non seppe arginare il calcio spettacolare degli assi brasiliani. Il punteggio finale recitava 4-1, con Pelè che aprì le marcature e servì poi due assist vincenti ai propri compagni.

Il giorno seguente la partita, il giornale britannico “The Sunday Times” aprì con un titolo tanto iconico quanto emblematico: “Come si scrive Pelè? D I O”. Il fatto di essere stato soprannominato “O Rei” prima e di ritrovarsi associato a una divinità vera e propria poi, ci fa capire tutto il peso specifico e il livello raggiunto da Pelè nel corso della carriera.

Una carriera splendida, magica e ricca di successi, degna di un vero re, degna di un vero dio.

Mattia Nadalini

Riguardo l'autore

mattianadalini

Laureato in "Studi storici e filologico letterari", attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in "Scienze storiche".
Appassionato di cultura e sport, in particolare calcio e formula 1, dal 2020 scrive saltuariamente sulla propria pagina Instagram "Il simposio del calcio".