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Attualità

11 settembre: la narrazione ufficiale – Inferno di Cristallo

Il 2001 si profilò da subito come un anno particolare, con manifestazioni organizzate da antagonisti e centri sociali un po’ ovunque; al G8 di Genova gli scontri avevano mostrato un tono più cattivo del solito. A Seattle si erano riunite frange estreme della società, per protestare – apparentemente – contro il nuovo corso mondiale.

Alle elezioni presidenziali USA di qualche mese prima, secondo la maggior parte degli osservatori avrebbe in teoria vinto Al Gore, democratico e già vice di Bill Clinton; ma riconteggi oscuri attribuirono la vittoria a George W. Bush, figlio primogenito poco brillante di George senior, presidente dal 1988 al 1992. Nel Regno Unito ancora imperversava il bel Tony Blair, laburista innamorato della monarchia e dei poteri forti.

Ma qualcuno tramava…

Si trovano dunque venti soggetti, non si sa bene se scelti più per la determinazione o anche per altro, per esempio la cultura, la conoscenza delle lingue, la capacità di simulare simpatia per l’America, la competenza nel volo o la disposizione all’obbedienza: forse di tutto un po’, per ciascuno in misura differente secondo le esigenze. Si legge di giovanotti di età non sempre certa, ma grosso modo compresa tra i venti e i trentatré anni, qualcuno più avveduto, altri decisamente gregari. C’è chi ha già il brevetto di volo, ma è difficile capirne la validità e a quanto potesse servire.

A noi l’idea di prendere  in mano un jet con poche ed elementari nozioni può spaventare, visto che perfino piloti esperti vanno a fracassarsi; ma le abilità richieste, in questo caso, devono servire solo a condurre il velivolo per il tanto necessario allo schianto, che riguarda  obiettivi semplici e ben visibili come il Pentagono, un panettone schiacciato difficile da mancare, la Casa Bianca, una bella macchia in mezzo al verde, e le due torri, che chi arrivava in volo, al tempo, ricorda visibili da molti chilometri prima di un atterraggio, due lame svettanti di riverberi.

Si può obiettare che le difese interne avrebbero fatto temere un fallimento del progetto, ma il commando non era stato composto a caso: la rabbia dei kamikaze non conosce limiti e, in ogni caso, egli è pronto alla morte. Ad ogni buon fine, quegli aspiranti martiri hanno frequentato delle lezioni di volo in terra americana. A causa di una serie di eventi a loro propizi, e nonostante siano rimasti in diciannove, tutto fila liscio. Le coincidenze aeree favoriscono i terroristi pendolari, le telecamere inquadrano poco e niente, sia negli aeroporti che sul luogo degli schianti; e, se anche falliscono la residenza presidenziale, i quattro che dovevano distruggerla riescono a lanciare l’aereo al suolo, ammazzando gli occupanti coraggiosi che erano quasi riusciti a strapparglielo. I piloti degli aeromobili dirottati non oppongono la minima resistenza: sorpresi da un’irruzione inattesa, erano stati sgozzati all’istante. Rimane qualche perplessità sullo sbriciolamento delle torri, ma è spiegabile con il surriscaldamento delle strutture. Esso ha eroso la protezione antincendio e fuso i sostegni, provocando l’effetto ”pancake” una sorta di afflosciamento su se stessi (collapse) degli edifici, già provati dalla precedente combustione.

C’è fretta nello sgombero delle macerie, ma è comprensibile. E’ forte il rischio di intrusione di curiosi, sciacallaggio, spionaggio. Lo smantellamento termina in pochi giorni. Urge fornire qualche minima certezza ai parenti delle vittime, consegnando loro dei reperti e far tornare tutto alla normalità quanto prima affinché i business, dai grandi ai minimi, non patiscano perdite poi tutte da risarcire.

Nel giro di minuti inizia a circolare il nome di Osama, quale responsabile; malgrado le smentite dell’interessato, che peraltro le dà ridendo, la versione appare credibile ed entro lo stesso mese vengono diffuse le foto dei componenti il commando. Parte la caccia ai Talebani che, ostili più che mai, se la prendono pure con le statue buddiste; e si avvia la sirena d’allarme contro l’Islam che, trattato con troppi riguardi, non è riconoscente. I film in via di completamento ambientati a NYC vengono revisionati, perché sparisca traccia delle torri, ed esse vengono fatte sparire anche da vecchie pellicole o videoclip.

Mai attribuire alla malafede ciò che si spiega adeguatamente con l’incompetenza – Rasoio di Hanlon

E’ definito “debunker”, in gergo anglosassone, colui che si incarica di smontare le teorie cospirazioniste. Il più famoso debunker italiano a tempo pieno è stato per molto tempo Paolo Attivissimo (si definisce divulgatore), dunque cercheremo di riassumere il lavoro di studio sull’evento, intitolato “Crono 911“,cui egli ha collaborato, per dimostrare che la versione ufficiale è autentica al cento per cento.

Il documento inizia con le biografie dei diciannove dirottatori, che ne escono molto bene. A suo dire erano elementi scafati, benché giovanissimi, a parte il “vecchio” trentatreenne Mohammed Atta. Studenti in patria (provengono da Arabia, Emirati, Egitto, Libano), qualcuno ha frequentato anche università all’estero. Intenzionati a dare man forte in Cecenia, vengono convinti ad aderire ad Al Qaeda per il progetto del 2001. Presso le scuole di volo americane i baldi giovani si sono comportati egregiamente, andando dritti allo scopo: a loro non interessavano decolli o atterraggi, ma solo il funzionamento dei cockpit, e nessun istruttore l’ha trovato strano. In ogni caso pagavano senza fiatare (circa 40.000 dollari l’uno), hanno fatto regolari esercitazioni nei simulatori, c’è anche il registro delle presenze; un paio di loro è risultato meno dotato, infatti li hanno destinati a compiti di macelleria interna sugli aerei dirottati. Invero in quel periodo CIA e FBI lavorano eccome, intercettano anche telefonate dall’Afghanistan, ma la sfortuna ci mette lo zampino, come alla fine ci verrà spiegato. L’organizzazione di Al Qaeda fa altresì la sua figura, e ricorda il perfetto funzionamento delle cupole mafiose.

Qualche scena ci serve per capire il clima a bordo. Abbiamo per esempio una delle hostess la quale, durante l’azione terrorista, per telefono riferisce che i dirottatori sembrano “islamici”. Siamo perplessi: prima di quel fatale giorno nessuno comunemente si esprimeva in questi termini. Si poteva al massimo dire: sembrano arabi.

Il terzo aereo, UA93, Newark/ San Francisco, è quello fatto schiantare dai dirottatori assaliti da alcuni coraggiosi passeggeri. Da colloqui percepiti attraverso telefoni lasciati aperti, si sente che i passeggeri intenzionati a fare irruzione in cabina, dove i terroristi si sono asserragliati, sarebbero partiti all’attacco al grido di “Are you guys ready? Let’s roll!” (Pronti ragazzi? Diamoci dentro!). Una frase da film, più che da un manipolo di gente terrorizzata, ma passi anche questa.

Si nota subito il grande uso dei telefoni di bordo da parte dei passeggeri: evidentemente non c’era necessità di codici particolari, erano come gli apparecchi di una cabina stradale.

Su questo volo s’era posto ai comandi il libanese Ziad Jarrah, descritto unanimemente come il più irresoluto del gruppo (si troverà una straziante lettera di addio alla sua fidanzata), quello che voleva rinunziare. Si vede che, una volta in preda all’adrenalina dell’azione, è diventato un Lindbergh, perché, per far perdere l’equilibrio ai poveretti che vorrebbero sfondare la porta della cabina, si esercita in rollii e beccheggi .

Veniamo al Pentagono. Qui si dirige il volo AA77 Washington – Los Angeles. Secondo quanto racconta Attivissimo, il terrorista che pilota, Hani Hanjour, non è affatto lo sprovveduto che si è spesso descritto, anzi, sa il fatto suo. Lo dimostrano, secondo i redattori del dossier, le riprese video dell’accaduto. Cerchiamo qualcosa, anche perché le telecamere, attorno a quel sito nevralgico, non avrebbero dovuto mancare, ma invano.

Ci viene proposta la solita sequenza finale sfocata, in cui non si vede un beato accidente, soltanto una punta di qualcosa e del fumo. Guardiamo la data, è del giorno dopo! Ci spiegano che probabilmente è stata diffusa la ripresa duplicata per le analisi del caso.

Segue la veloce spiegazione dell’accaduto: l’aereo non va dritto contro l’obiettivo dall’alto, ma sceglie il percorso più difficile, abbatte un palo, vola a due metri da terra, si infila nell’edifico, si polverizza. Il racconto viene arricchito delle conversazioni con i pompieri. La situazione è ormai compromessa, si ordina di sgombrare, ma uno di loro risponde “we’re not fucking coming out!” (non siamo dei fottuti vigliacchi), altra frase molto a effetto, di cui prendiamo atto. La traduzione ci incuriosisce, anche perché, al cinema, in bocca per esempio a un Bruce Willis, sarebbe pure un po’ più volgare. I vigili del fuoco sono così in gamba da percepire i segnali del crollo di quella parte del Pentagono e fuggono in tempo (quindi alla fine scappano, ovvio).

Di nuovo a Manhattan. Viene fuori che al crollo della torre nord (colpita per prima, ma accasciatasi per seconda), Bush autorizza gli abbattimenti degli aerei pirata. Attenzione, autorizza, NON ordina, lasciando la patata bollente in mano ai comandi militari.

Ci informano che la Corte dei Conti americana, organismo di controllo contabile, caduto il muro di Berlino, aveva consigliato di risparmiare sulla sicurezza, tanto non c’era più il rischio di un’invasione o di un attacco comunista. Apprendiamo, con vivo sconcerto, che i caccia militari in servizio alla bisogna erano pochissimi e disarmati. Ci spiegano anche che armare un caccia è operazione lunga e laboriosa.

Riportiamo di seguito una conversazione tra il vice presidente Cheney e Rumsfeld:

Ore 10:39 – Casa Bianca e Pentagono, Washington D.C..

Cheney interviene dalla Casa Bianca alla teleconferenza in corso presso il Pentagono, per aggiornare il segretario alla Difesa Rumsfeld.Cheney: “Abbiamo non meno di tre segnalazioni di aerei in avvicinamento a Washington e per un paio di essi abbiamo conferma che sono stati dirottati. Ottemperando alle istruzioni che ho ricevuto dal presidente, ho dato l’autorizzazione ad abbatterli. Mi senti?” Rumsfeld: “Sì, ho capito. A chi hai dato questa direttiva?” Cheney: “L’ho fatta trasmettere dal PEOC attraverso il centro operativo della Casa Bianca”. Rumsfeld: “OK, fammi capire questa cosa: la tua direttiva è stata trasmessa ai caccia?” Cheney:”Sì” Rumsfeld: “Quindi in questo preciso momento abbiamo un paio di caccia lassù che hanno queste istruzioni?” Cheney: “Giusto. E da quanto ho capito, hanno già abbattuto un paio di aerei”.

Rumsfeld: “Questo non ci risulta. Abbiamo appreso che un aereo si è schiantato ma nessun pilota ha riportato di averlo abbattuto”.

Di più, veniamo a sapere che la direttiva perché gli USA intervenissero in Afghanistan contro i talebani era già pronta da giugno, ma rimasta nel cassetto. Non c’era il pretesto, si giustificano. Si può intervenire solo in presenza di un attacco militare da parte di un altro paese.

Riguardo all’eroico tentativo del comandante dei vigili del fuoco Ronald Bucca, di salvare alcuni occupanti la torre, si dice che “la sorte ha deciso altrimenti” e purtroppo l’edificio cede, ma il corpo di Bucca verrà ritrovato. Ci sarebbe interessato sapere come mai solo quello, ma sarà sempre questione di sorte.

Veniamo ora al crollo di WTC 7, sede CIA, che qualche ora dopo vien giù di botto. In una prima versione ci dicono che è per l’effetto combinato del materiale delle torri che lo ha colpito e degli incendi scoppiati all’interno, dopo si corregge il tiro: è soprattutto per gli incendi. In verità, da fuori non si è visto alcun incendio clamoroso; altri edifici, molto più vicini alle torri, sono rimasti tranquillamente in piedi.

L’Hotel Marriott, costruito tra le Torri, pur irrimediabilmente danneggiato, non è crollato né ha preso fuoco

E poi era giorno di esercitazioni della difesa aerea, una maledetta coincidenza. Si è intervenuti prontamente, solo che l’evento era fuori dai canoni previsti. Per esempio i dirottatori, in genere, cambiano i codici degli aerei e mettono il codice di dirottamento: questi invece hanno spento i transponder, ovvero gli strumenti che permettono di identificare il volo. Col trasponder i controllori vedono solo dei puntini, e non i numeri identificativi del volo.

Qualcosa, a noi profani non torna: a quel punto, il puntino rappresentava l’aereo in difficoltà, dunque una forma di identificazione non era possibile? Si vede di no. Certo, comprendiamo l’affanno della situazione.

CIA e FBI hanno lavorato maluccio, nei mesi e anni precedenti? I redattori di Crono 911 ammettono che le due agenzie non si scambiarono le informazioni; pare ne avesse di più l’FBI, ma non può usarle per fare prevenzione, quello spetta alla CIA: un rimpallo imbarazzante.

Ci chiediamo: poiché avevano tra le grinfie Moussaoui, il famoso ventesimo mancato della spedizione, non potevano torchiarlo? (Guantanamo più, Guantanamo meno). Vuoi vedere che l’Immigrazione non aveva detto a nessuno che lo aveva in custodia? Pare che i servizi segreti inglesi e francesi non abbiano collaborato a dovere, e anche i corrispondenti CIA europei abbiano un po’ nicchiato. Si tende ad accusare i vertici, sempre supponenti davanti alle informazioni di chi si fa il mazzo sul campo.

Alla fine, si conclude con la bordata ai complottisti. O sono poco svegli o sono interessati a costruire fortune con i libri e gli articoli. Li schedano circa così: comunisti estremi, anarchici, antisemiti, antiamericani.

Paolo Attivissimo, in un servizio reperibile in rete, smonta senza pietà la teoria della demolizione controllata, che per i complottisti sarebbe stata preparata qualche giorno prima, sistemando in giro le mine in orario di lavoro e completando l’opera grazie al black out dell’ultimo week end. Quest’ultimo, secondo Paolo, in realtà era programmato e funzionale ad un lavoro di ricablaggio in atto; in settimana girava troppa gente per poter effettuare un lavoro simile. Alla fine si chiede provocatoriamente che vantaggio avrebbe avuto qualcuno a un autoattentato, inside job, false flag.

Proseguono i debunker: è arduo pensare a una messa in scena. Mettiamo che si possano aver avuto dei motivi per allestirla (loro, peraltro, rifiutano anche questi): davvero possiamo pensare a uno scenario da fantascienza, adombrato dai cospirazionisti, ovvero che quattro aerei, non iscritti nei registri di decollo, vengano deliberatamente dirottati e fatti esplodere in volo; oppure fatti atterrare da qualche parte e distrutti, con sterminio totale dei passeggeri; o ancora, addirittura scagliati fuori atmosfera per far bruciare tutti vivi (situazione vista solo al cinema); e che al loro posto avrebbero volato dei missili scagliati sugli edifici camuffati tramite ologramma? Stando ai complottisti, le voci dei poveri occupanti atterriti che telefonano o lasciano messaggi in segreteria telefonica sarebbero finte e così le loro foto; e addirittura molti parenti delle vittime si presterebbero al gioco. Pagati per farlo? Non c’è garanzia di un futuro riserbo, sono troppi. Ci rendiamo conto di quanta fantasia occorre per poterlo anche solo immaginare? L’effetto avrebbe incantato migliaia di persone presenti, e milioni di osservatori nel mondo?

Anche la sub-ipotesi di una non resistenza ai terroristi, il “lasciarli fare” quale astuta mossa per attaccare i Talebani, è agghiacciante: il terrorismo esiste, perché negarlo proprio in questa occasione? La difesa è stata lenta? Le comunicazioni tra Rumsfeld e Cheney non furono ottimali? Purtroppo il momento di transizione, le esercitazioni e l’imprevedibilità dell’attacco hanno rappresentato concause devastanti. Esiste la sfortuna.

La concitazione del momento può far ricordare male gli eventi, per quello c’è chi parla di esplosioni, altri dicono che l’aereo era senza finestrini….si sa come va in questi casi. Fu un trauma e capiamo i disorientamenti dei testimoni. George W. Bush reagì freddamente? E cosa avrebbe dovuto fare, dare in escandescenze? Cercò di mantenere la calma, era in visita a una scuola elementare.

No. Zio Sam avrà tanti difetti, ha sulla coscienza dei vecchi errori che ancora gli pesano, ma ci ha dato Lincoln e i Kennedy, Hemingway, le libertà fondamentali, il cinema e la musica che amiamo: non può aver fatto questo, semplicemente.

…segue

Carmen Gueye

Riguardo l'autore

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Carmen Gueye genovese laureata in lettere antiche, già pubblicista e attiva nel sociale, è autrice di romanzi, saggi e testi giuridici