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11 settembre: i dubbi

Partiamo dal signor James (Jimmy) W. Walter, Junior, classe 1947, statunitense doc, manager di famiglia facoltosa, che si definisce un patriota e non un sovversivo. Si tratta di un teorico della cospirazione statunitense, ufficialmente coinvolto nel Movimento per la verità sul 11/9. Ha finanziato di tasca sua ricerche e comprato pagine di giornali per dimostrare un complotto che avrebbe portato agli eventi, anche se molti media hanno rifiutato i suoi soldi, piuttosto che pubblicare le sue idee, che hanno, in effetti, girato in pochissimi paesi del mondo. Da noi ne ha parlato Report. Walter si è poi rifugiato in Austria, sentendosi in pericolo nel suo paese. La sua testimonianza è reperibile, ovviamente, in web, per chi fosse interessato (“Confronting the evidence“).

Tra le altre sue accuse al governo, aver sempre rassicurato i newyorchesi sulla respirabilità dell’aria il giorno dopo l’attentato, mentre le conseguenze sulla salute si sono rivelate drammatiche per molti ed esiziali per qualcuno. Come spesso accade, egli è stato screditato sul fronte personale.

I dirottamenti che conoscevamo, prima d’allora, presentavano caratteristiche ben diverse. Tanto per citare il più famoso, quello di Entebbe del 1976, i terroristi non dovevano ammazzare alcuno, si tenevano ben stretti i piloti per la conduzione del velivolo e chiedevano in cambio un favore politico; magari erano pronti alla morte, ma cercavano di scongiurarla. Evidentemente nel 2001 finalità e metodi erano cambiati.

Vari analisti, anche italiani, illustrano da tempo, secondo competenza e nei rispettivi modi, perplessità e stranezze. Non chiamiamoli complottisti, sono solo dubbiosi.

Essi osservano che un piano studiato nei minimi particolari può fallire anche per una sciocchezza; tuttavia non si è mai sentito di una pianificazione così esposta al rischio, ma di maggior successo, anche per il numero di persone coinvolte nell’operazione.

In questo caso, non fosse per l’abiezione del fine, diremmo: chapeau. Poco conta il fatto che esistessero finanziamenti cospicui e i terroristi poterono muoversi agevolmente. Restano obiettive circostanze imperscrutabili. La testa del piano era lontano migliaia di miglia e le telefonate dettagliate erano sconsigliabili. La sera prima pioveva. In caso di cattivo tempo anche l’11, che fare, rimandare? Molti di quei ragazzi erano poco più che adolescenti e sprovvisti di competenze specifiche.

Alle scuole di volo americane che frequentarono, li ricordano come individui poco perspicaci. E’ opinabile che si possa tenere e manovrare efficacemente, alle velocità dichiarate, un jet alla cieca, senza strumenti, e riuscire in manovre acrobatiche, per giunta. E’ inspiegabile che le telecamere non abbiano registrato quasi nulla al Pentagono, quando sulle Torri ci hanno propinato video di tutte le risme. La data del filmato sul Pentagono è sbagliata e la spiegazione non rivela nulla. Non si sono ritrovati resti umani apprezzabili, ma furono rinvenuti pressoché intatti documenti e bandane dei terroristi. Visto che i 19 di certo non si erano imbarcati con le bandane in testa, a che punto le hanno messe, senza dare nell’occhio? Questa delle bandane è proprio una storia curiosa, perché nelle prime ricostruzioni della BBC non se ne parla.

Era impossibile, almeno allora, effettuare chiamate di una certa durata da cellulare in aereo. Si dice che le chiamate siano partite dai telefoni fissi dell’aeromobile, perlomeno di AA 11, quello che ha colpito la torre nord: ma con una carta di credito e nessuno ha mai specificato chi l’abbia fornita. E ancora, gli aerei non possono volare così basso a quelle velocità, si disintegrerebbero.

Queste sono solo alcune obiezioni, le più elementari. Le leggi della fisica risultano stravolte. Le possenti colonne centrali delle torri furono polverizzate e chi aveva curato il progetto a suo tempo non se n’è mai fatto una ragione. La caduta in dieci secondi presupporrebbe una resistenza sottostante minima, come se dopo il primo piano crollato ci fosse stato il vuoto: ma solo una palla da biliardo ci metterebbe così poco. E i piani sopra l’impatto, dove sono finiti? Viene ignorata la legge del momento angolare: ad esempio, il blocco superiore della sud sopra il punto d’ impatto, visibilmente staccatosi per primo, si sarebbe dovuto abbattere autonomamente. Invece tutto si è come macinato. Siamo rimasti in una sorte di limbo dell’opinione.

Qualche tempo dopo, il regista statunitense Michael Moore, che da un pezzo andava denunciando le storture di una certa America guerrafondaia e reazionaria, diresse “Fahrenheit 9/11”, duro atto d’accusa contro l’amministrazione Bush (in questo, magari per motivi diversi, è d’accordo con Donald Trump).

Nel film di Moore viene inquadrato per bene il primo piano degli “squibs“, gli sbuffi da carica d’accensione lungo le torri, che fanno pensare a una demolizione controllata. Anche in questo caso osserviamo senza riuscire a esprimere un parere. I dubbiosi mettono in dubbio anche lui, indicandolo come un contestatore “mainstream”, un “gatekeeper“: aderente a quell’opposizione organica al sistema, che serve solo a dare una vernice di rispettabilità, con obiezioni calibrate e plateali, a regimi in realtà poco credibili, per farli apparire tolleranti verso gli oppositori.

E a proposito dell’ipotesi della demolizione controllata, va aggiunto che minare un edificio non è impossibile. Le torri non erano più così affollate, molti locali risultavano sfitti, l’andirivieni era continuo e mal controllato.

2004- IL N.I.S.T. si esprime

Dopo circa tre anni esce il ponderoso studio governativo sulla fatidica giornata, a cura del N.I.S.T. – National Institute of Standards and Technology e, di conseguenza, si scossero nuovamente i nervi scoperti dell’opinione pubblica. Per iniziare, alcuni parenti delle vittime non trovavano soddisfazione nella versione governativa e facevano pressioni. Sarà per questo che, nel tempo, essa fu impercettibilmente cambiata in alcuni particolari? Amarezze circolavano anche tra le famiglie dei vigili del fuoco, defunti nell’impresa disperata di porre rimedio a un incendio ingovernabile, utilizzati in realtà come forza di protezione civile (poco efficiente ancora in USA e si vedrà durante l’uragano Kathryna).

La successiva seconda guerra del Golfo andava per le lunghe, insomma non era lampo, le vittime e i mutilati non si contavano, le casse dello Stato si dissanguavano (le conseguenze si vedranno anche sui bilanci federali), i brontolii serpeggiavano. L’era di Internet era in piena espansione, qualcuno si documentava.

Chi doveva vigilare e non ci riuscì, ha pagato? Facile risposta. Responsabile della sicurezza delle Twins era la Securacom (il fratello di Bush era nel consiglio di amministrazione, un cugino direttore generale, partnership con il Kuwait); la società si occupava altresì di sicurezza in uno degli aeroporti da cui erano partiti i terroristi e di una delle compagnie aeree coinvolte.

Il già citato Larry Silverstein ha avuto parte nella costruzione del nuovo complesso che ha sostituito il vecchio. L’11 settembre lui e i suoi figli dovevano trovarsi in una delle due torri per riunioni di routine, ma non c’erano. Fonte della notizia di questa fortunata combinazione? Per il padre, lui stesso; afferma che la moglie lo convinse ad andare dal dermatologo.

Veniamo a sapere che il capo del commando, Mohammed Atta, non era quell’orso incarognito che si vede nelle foto. Egiziano, di famiglia emancipata con sorella che studiava, viveva in Germania ed era fidanzato; ma, dicono, una volta trasferitosi negli USA, aveva preso a frequentare americane disinibite, beveva e tirava coca (secondo alcuni, si divertiva anche ad ammazzare gatti), insieme ad alcuni “colleghi”. Sarebbe a dire che gli USA lo hanno deviato? Prossimo alle nozze era il libanese Ziad Jarrah, look moderno, amante della bella vita che conduceva spesso insieme alla sua ragazza turca. Come terroristi, costoro fingevano molto bene di vivere all’occidentale. È una condizione da cui difficilmente si torna indietro da un minuto all’altro.

Stesso discorso varrebbe per Hani Hanjour. A quanto pare costui ha ingannato tutti con la sua aria spaurita poiché, secondo gli investigatori, era un mastino: fingeva di essere imbranato nel pilotare (turlupinando l’istruttore), invece avrebbe effettuato una manovra contro il pentagono che i top gun ancora invidiano: evita pali, fa zig zag come in un film di Walt Disney, entra con l’aereo tipo freccetta.

Gli altri terroristi? Nomi presto dimenticati, come se esistessero protagonisti, comprimari e comparse.

Come fa a scendere un velivolo? L’aeromobile, in realtà, segue i cosiddetti corridoi aerei (e laddove il traffico è intenso, come negli USA, meglio non distrarsi). Non è che prendi la cloche, la spingi e giù, come nell’ottovolante. Perché è così che, più o meno, l’hanno raccontata.

Chiunque sia stato in volo almeno una volta ricorda di aver avvertito, scendendo, un rallentamento progressivo, una discesa come “a scalini”, alternata a brevi accelerate. I nostri quattro piloti improvvisati di jet non erano interessati al “land in“. Ma scendere dovevano e MAI nessuno ha affermato che abbiano compiuto tale manovra in regola. Sarebbero andati sempre in piano come sull’autoscontro? Con una discesa alla carlona, come raffigurata anche nei docufilm, l’aereo sarebbe andato gambe, o meglio, ali, all’aria.

Dopo il primo schianto, gli occupanti della torre Sud iniziarono a fuggire, ma furono fatti rientrare alle spicce: con che logica?

Un’altra curiosità: sulla lista passeggeri non ci sono nomi arabi: il motivo? Non si sa.

Le torri hanno bruciato in minima parte e per poco, le fiamme si notano già in via di estinzione dopo mezz’ora, ma collassarono in un tempo straordinariamente breve: WTC 7, sede della CIA, si disintegrò per fuochi isolati, mentre, in giro per il mondo, palazzi bruciati per ore sono rimasti in piedi. Il Rapporto NIST ha rinunciato a fornire una spiegazione tecnica della caduta a piombo, attestandosi sulla generica azione delle fiamme. Ma costruzioni vicinissime alle torri, come quelle del Financial Center, sono ancora oggi ottimamente in piedi e intatte.

L’acciaio non fonde col kerosene avio, nemmeno alle temperature, anche le più alte, registrate quel giorno, ci vuole molto di più: il cemento, poi, è nato per resistere all’azione del fuoco. Esistevano le protezioni antincendio. Un crollo poteva verificarsi, ma dopo molto, molto più tempo e con modalità differenti. Dobbiamo dedurne una gran fallacia nel valutare la resistenza dei due grattacieli, fiore all’occhiello dell’ingegneria edile del ventesimo secolo? E se c’era abbastanza fresco perché molti potessero fuggire, come ha potuto il calore sciogliere quei robusti materiali?

“NEW YORK Nonostante Ground Zero sia stata passata al setaccio per diversi anni, oggi sono stati ritrovati resti umani, almeno una decina, e due portafogli appartenenti a vittime dell’11 settembre. L’area dove è avvenuto il macabro ritrovamento si trova nel margine nord-ovest del sito dove sorgevano le Torri Gemelle. Né le squadre dei soccorritori né il Dipartimento dei Vigili del Fuoco che aveva sorvegliato l’andamento dell’operazione, hanno saputo offrire una spiegazione plausibile. Il sindaco Michael Bloomberg ha convocato una riunione di emergenza delle agenzie metropolitane per determinare quali aree dovrebbero essere setacciate di nuovo.

Ancora più stupefatte delle autorità sono state le famiglie delle vittime dell’11 settembre anche perché i resti umani rinvenuti non sono piccoli frammenti di ossa ma vaste porzioni di braccia e di gambe…”. Repubblica.it, 20 ottobre 2006. (L’edificio è il grattacielo della Deutsche Bank ndr )

Un altro piccolo e misero interrogativo s’impone: dal 2001 al 2006 “vaste porzioni di braccia e gambe” avrebbero resistito all’azione degli elementi, senza putrefarsi e praticamente sparire ”in pulverem”? Per non parlare dei portafogli. A Manhattan c’è sempre vento; in cima ai grattacieli ancor di più.

E ancora: “Perché una parte (non frammento) di carrello di aereo fu ritrovato solo nel 2013, tra due edifici, in un vicolo strettissimo?…Si tratterebbe di parte del carrello di uno dei due velivoli, trovato fra due palazzi fra Park place e Murray street, a poca distanza da Ground Zero: «È stata trovata parte del carrello di atterraggio, che sembra essere di uno due aerei di linea distrutti l’11 settembre» ha detto Paul Browne, portavoce della polizia di New York, sottolineando che sul frammento «è chiaramente visibile un numero di identificazione di Boeing». Il Secolo XIX, 27 aprile 2013.

Come ha potuto una parte non infima di un aereo, in una città rimasta paranoica per anni sul tema dell’attentato, restare invisibile per dodici anni? Ricordiamo anche che è stato difficile risalire all’identificazione ”burocratica” dei voli; c’erano difformità riguardo al codice e al registro delle partenze.

Sul Pentagono c’è poco da dire, che un normale occhio umano non possa obiettare di logica. Prato pulito, strutture esterne quasi intatte, piccolo buco senza impronte di ali, come già detto nessun filmato, pochissimi testimoni della prodezza del pilota (che ha stupito anche esperti aviatori italiani interpellati a caldo). L’impatto si è verificato in un punto che era stato appena rinforzato.

La BBC ha sfornato filmati a rotazione continua, dal 2006, che però talvolta si contraddicevano. UA 93: prima erano i dirottatori a decidere lo schianto; in una seconda versione, i passeggeri si rivoltavano e prendevano la cloche. Per non parlare dell’omonimo film, “UA 93”, uscito nel 2006: l’unico passeggero che tenta di proporre un dialogo con i dirottatori è un francese dalla erre moscissima, chiaramente dipinto come un europeo smidollato; e questa scena, poi, da chi sarebbe testimoniata?

Tracce significative degli aerei non sono rimaste da nessuna parte, in particolare stupisce la sorte di quest’ultimo, UA 93 appunto. C’è una lieve impronta a forma con una vaga forma di aereo e si sono trovati dei detriti, ma un po’ lontano. Null’altro.

Peccato che la terra opponga resistenza e inoltre, come già detto, sotto una certa altitudine si sarebbe spaccato, causa leggi della fisica. Molti disastri aerei si sono verificati proprio con la modalità a picco, magari per esaurimento carburante o malore del pilota o volontà suicida (Mozambican Airlines caduto in Namibia nel 2013, Germanwings, caduto in Provenza nel 2015), ma vari pezzi si sono sparsi attorno; e chi ha detto poi che è stato lanciato in verticale?

Airwings 2015, con l’aereo lanciato in verticale

Perché le torri schizzarono verso l’esterno? La frantumazione in realtà si è verificata al centro dell’impatto. Le “intelaiature”, ovviamente per la relativa leggerezza dovuta ai criteri di costruzione, hanno subito una curvatura verso l’interno. I vari componenti di una struttura si comportano ognuno diversamente dall’altro secondo il materiale di cui sono composti e i criteri di costruzione: le torri avevano al centro enormi colonne portanti, e non erano tenute insieme da un reticolo, come si è allegramente sostenuto per anni.

…segue

Carmen Gueye

Riguardo l'autore

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Carmen Gueye genovese laureata in lettere antiche, già pubblicista e attiva nel sociale, è autrice di romanzi, saggi e testi giuridici