Il ‘’potere carismatico’’ è nato nel XVIII secolo, nell’era delle rivoluzioni e della democrazia. Napoleone Bonaparte, morto poco più di duecento anni fa, è l’incarnazione di questo «cesarismo moderno» che ha saputo approfittare della divisione dello Stato per imporsi.
Il 2 dicembre 1804 Napoleone Bonaparte si trova nella navata della cattedrale di Notre-Dame de Paris, avvolto in un pesante manto di ermellino (oggi, in Italia lo indossano i giudici della Suprema Corte di Cassazione e per questo vengono chiamati anche ‘’ermellini’’), uno scettro nella mano, aspettando che papa PIO VII lo consacri «Sacro Imperatore dei Francesi». Napoleone è il ‘’comandante incontestato’’ dello Stato più potente del continente, riconosciuto universalmente come il più grande genio militare che l’Europa abbia conosciuto da secoli. In quel momento, Napoleone si rivolge a suo fratello che presto avrebbe nominato re di Napoli e poi di Spagna, e sorridendo nella loro nativa lingua corsa gli dice: «Se Babbù ci vede» .
Trentacinque anni prima questo incoronamento non sarebbe stato neanche pensabile.
Cadetto di una famiglia della piccola nobiltà corsa, Napoleone nasceva su questa isola lontana dal continente francese ma che la Francia aveva annesso nell’anno precedente, il 1768. La conquista francese della Corsica ebbe luogo tra il 1768 e il 1769, quando la Repubblica Corsa fu occupata dalle forze francesi sotto il comando di Noël Jourda, Conte di Vaux. Al ‘’Trattato di Versailles’’ del 1768 la Francia ricevette, come pegno dalla Repubblica di Genova, il diritto di occupare la Corsica. Genova rivendicava la proprietà dell’isola, anche se dal 1755 i Corsi avevano de facto raggiunto l’indipendenza e avevano promulgato una costituzione propria. Dopo aver abbandonato ogni speranza di recuperare la Corsica con la forza, la repubblica genovese scelse quindi di vendere i propri diritti sull’isola alla Francia, desiderosa di conquistare nuove terre dopo le perdite territoriali durante la ’’Guerra dei Sette Anni’’.
Napoleone Bonaparte portava un nome che suonava in modo bizzarro alle orecchie dei francesi e parlava francese con un forte accento straniero, tant’è che un suo ‘’camerata’’ di scuola gli aveva dato un soprannome: «la paille-au-nez» (per dire la paglia al naso), ma pronunciate, le parole, velocemente ‘’lapaiaonè’’ richiamano per assonanza il nome, Napoleone. Come spiegare quindi una sua ascesa così folgorante? Grazie al suo genio militare e alla sua travolgente ambizione? Certamente questi elementi furono decisivi, ma altrettanto certamente anche altri. Una ascesa come la sua fu possibile poiché la Rivoluzione Francese aveva rovesciato, in gran parte, la gerarchia sociale rigida del Regno di Francia, aprendo così nuove strade agli uomini e alle donne nati fuori dalla ‘’cerchia dorata’’ della famiglia reale e dell’alta nobiltà.
Anche la fortuna ha giocato il suo ruolo. Nel 1804 Napoleone aveva già ‘’passeggiato’’ con la morte una mezza dozzina di volte, sia sui campi di battaglia che per mano dei giacobini, che all’epoca venivano chiamati ‘’terroristi’’, per le strade di Parigi. Ma a tutto questo si deve aggiungere un fattore determinante: il carisma.
Fermiamoci un attimo su uno dei momenti più straordinari della vita fuori norma di Napoleone.
L’8 ottobre 1799 Napoleone rientra dall’Egitto. Il suo segretario particolare, Bourrienne, racconta che al porto di Fréjus Napoleone e i suoi uomini furono letteralmente ‘’sollevati’’ dalla nave e portati a terra da una folla in delirio. Le genti in massa si ammassavano sulla sua strada per rendergli gli onori e a volte queste ‘’ masse di persone’’ erano così tante ch’egli e la sua compagnia aveva difficoltà a procedere verso Parigi. A Lione, dove egli arriverà il 13 ottobre 1799, la popolazione aveva lanterne accese alle finestre, sparavano in aria e gridavano «Vive Bonaparte qui vient de sauver la Patrie!» (Viva Bonaparte che ha salvato la Patria). La compagnia teatrale del teatro di Lione mise in piedi, se pur frettolosamente, una pièce intitolata «Le Retour du héros ou Bonaparte à Lyon» e lo invitò ad assistervi. Quando la notizia del suo sbarco giunse a Parigi, delle spie della polizia informarono che delle canzoni popolari esaltavano «notre père, notre sauveur» (il nostro padre, il nostro salvatore).
La sua reputazione di conquistatore dell’Italia e dell’Egitto non è sufficiente per spiegare tutto questo entusiasmo delle folle (cosa che abbiamo visto più volte anche nell’Italia fascista e anche in quella della Repubblica). Le folle non ammiravano solamente Napoleone Bonaparte, esse lo aspettavano, esse lo reclamavano, esse erano attratte da lui come da una ‘’forza magnetica’’ irresistibile. E non c’erano ‘’manganellatori’’ né allora come non c’erano nell’Italia del 1922. Era carismatico!
Il carisma è una nozione spesso utilizzata dagli storici. Ma di cosa si tratta veramente? Cominciamo dalla parola: CARISMA. Dal greco «kharisma», appare nel Nuovo Testamento (‘’Le Epistole di San Paolo’’) per designare dei doni spirituali straordinari concessi dallo Spirito Santo a dei gruppi di persone o a delle persone. Questo è il motivo per il quale il carisma verrebbe considerato come una ‘’qualità personale’’ di cui gli individui ne sarebbero gratificati oppure no alla nascita. In realtà, a mio parere, il carisma deve essere pensato piuttosto come una ‘’relazione’’. Esso non dipende unicamente dall’apparenza, dalle facoltà o dalla personalità dell’individuo stesso ma anche dalla capacità degli altri a trovare questa ‘’apparenza’’, queste facoltà e questa personalità eccezionalmente attraente. Ma attenzione perché le qualità che rendono qualcuno ‘’carismatico’’ agli occhi di un pubblico particolare possono renderlo odioso agli occhi di altri. Del resto, Napoleone Bonaparte era carismatico per i francesi ma non lo era per i britannici, che invece lo vedevano come un omuncolo malvagio, ridicolo e parvenu soprannominandolo ‘’Boney’ (ossuto) o ‘’the Corsican Ogre» (l’orco corso). Max Weber, sociologo tedesco, nel 1919 durante una conferenza sugli ‘’studiosi e la politica’’ introdusse la nozione di ‘’carisma’’ fino ad allora teologica nelle scienze sociali. In effetti Weber distingue tre tipi di legittima autorità: 1) il potere tradizionale, dove l’obbedienza riposa sul credo nel carattere sacrale come sotto la monarchia assoluta; 2) il potere razionale o burocratico, la cui autorità dipende dalla posizione in seno ad una organizzazione e 3) il potere carismatico, fondato sulla personalità e straordinarietà di un individuo e quindi si obbedisce al capo in quanto tale, capo qualificato carismaticamente in virtù della fiducia personale su ciò che professa, del suo eroismo o del suo valore esemplare,
Se quindi noi ci interroghiamo sulle ragioni del carisma di Napoleone Bonaparte agli occhi dei Francesi, non dobbiamo focalizzarci su di lui ma interroghiamoci sui francesi e al modo con cui Napoleone Bonaparte si è costruito coscientemente una immagine dall’attrattiva potente. E questo può valere anche per Mussolini in Italia e tanti altri ‘’leaders carismatici’’.
Nel XVIII secolo, ancor prima della Rivoluzione Francese, il modo in cui il popolo vedeva i suoi dirigenti politici cambia radicalmente. Un re come Luigi XIV aveva rappresentato e costituto una presenza distante per la maggioranza dei francesi: solo un volto su una moneta, oppure un nome menzionato alla Santa Messa della domenica oppure nella bocca di un ufficiale militare. Ma a partire dal XVIII secolo i giornali cominciano a scrivere e quindi a portare all’attenzione di chi legge, tutti i giorni o tutte le settimane, delle notizie fresche sulle figure politiche. Fogli, opuscoli addirittura libri cominciano a circolare descrivendo i re e i ministri in termini familiari, così anche per i commedianti o degli scrittori come Voltaire e Rousseau. Il numero di ritratti incisi in circolazione è senza precedenti: nel 1789 anche un artigiano poteva facilmente averne uno o due sulle pareti. E’ la nascita della ‘’cultura moderna’’ della celebrità. L’idea che l’uomo comune possa immaginarsi un legame personale con i suoi ‘’dirigenti amministrativi’’ si adatta bene alle idee illuministiche secondo le quali il popolo dovrebbe avere voce in capitolo sul come deve essere governato.
Napoleone Bonaparte ammiratore di Pasquale Paoli.
Da cadetto in una scuola militare a Brienne, Napoleone Bonaparte lesse, probabilmente nella sua traduzione italiana, uno di quei libri, fra i più notevoli dell’epoca, su un grande uomo: la storia della sua Corsica natia e del suo «Generale» Pasquale Paoli, descritta in un solo volume da un giovane gentiluomo scozzese, James Boswell: «An Account of Corsica». Il libro faceva di Paoli un uomo straordinario: un legislatore e un dotato comandante militare che aveva liberato la sua Patria Corsa dal giogo genovese e lui aveva dato alla Corsica oltre ad una nuova Costituzione un nuovo ‘’spirito nazionale’’. Secondo Boswell, i Corsi adoravano Paoli (e questa adorazione l’ho personalmente riscontrata nel periodo di vita che ho vissuto in Corsica nel 1976 e 1977), anche se diventava “alto tradimento’’ se uno gli si opponeva anche solo a parole. Il suo Stato era simile a una sorta di dispotismo fondato, contrariamente ai principi di Montesquieu, sull’emozione dell’amore. Il libro di Boswell descrive Paoli, con molti dettagli particolari, anche fisicamente e maggiormente soffermandosi sulla sua impressionante memoria, sulla sua incapacità dal restare immobile e soffermandosi a lungo sul suo modo di vestirsi al mattino. Il giovane Napoleone si innamorò così tanto – e a mio avviso giustamente – di questo compatriota corso, piangendo amaramente per la sua sconfitta da parte della Francia, che nel 1769 lo costrinse all’esilio a Londra. Potremmo così dire che agli occhi di Napoleone il Generale Pasquale Paoli possedeva un immenso carisma e come scriverà Stendhal un po’ più t ardi: «Paoli fu il tipo e l’immagine di tutta la vita futura di Napoleone».
La Rivoluzione che cambierà brutalmente la Francia, a cominciare dalla primavera del 1789, aprì la via a numerosi ‘’capi’’ dotati di questo stesso carisma. Lo stesso Luigi XVI venne celebrato, se pur brevemente, come «liberatore» della Francia e “padre della patria”. Il ritorno in Corsica di Pasquale Paoli dal suo esilio britannico, il 14 luglio 1790, riempì di gioia il giovane Napoleone. I soldati, che avevano giurato di difendere la Patria e di vendicare l’amara sconfitta del secolo precedente, assunsero un’aura singolare.
Tuttavia, agli inizi della Rivoluzione, i francesi nutrivano una grande sfiducia nei confronti dei potenti, che avrebbero potuto abusare dell’amore dei loro seguaci e trasformare questo “dispotismo dell’amore” in puro e semplice dispotismo. Ammiratori delle antiche repubbliche, i francesi credevano fermamente che i leaders politici dovessero resistere ai canti delle sirene dell’ambizione personale. Coi piedi se non tutto il corpo nella storia di Giulio Cesare, i francesi diffidavano dei ‘’generali popolari’’. Robespierre, che si era costruito una reputazione con il suo discorso del 1789 che si opponeva al veto reale sulle leggi, avvertiva i francesi di non lasciarsi prendere dall’idea che “la nazione non è niente, e (…) un solo uomo è tutto”. La sfiducia nell’ambizione personale era così grande che un giovane ufficiale in un concorso accademico nel 1791scrisse: «L’ambizione (…) è, come tutte le passioni disordinate, un delirio violento e sconsiderato (…) Come un fuoco, favorito dal vento spietato, (essa) finisce solo dopo aver consumato tutto».L’autore non era altro che Napoleone Bonaparte. Forse non credeva a quello che scriveva, ma almeno sapeva quello che i suoi lettori volevano sentire: il carisma era pericoloso.
Il sospetto verso gli ambiziosi, ai potenziali Cesare, rimase costante per tutto il decennio rivoluzionario. Una lunga lista di generali (La Fayette, Dumouriez, Custine, Ronsin…) furono accusati di seguire le orme di Cesare. Il radicale prussiano Anacharsis Cloots, attratto come una farfalla di notte dalla fiamma dalla Rivoluzione, proclama « Francia o Gallia, sarai felice quando sarai finalmente guarito dagli individui». Robespierre ha ripetutamente sottolineato che era la legge, non gli individui, a dover governare. Ma, per una bella ironia della Rivoluzione, gli fu rimproverato a sua volta di aspirare alla dittatura. Dopo la sua caduta e l’esecuzione il 28 luglio 1794, i suoi nemici attribuirono tutta la colpa del Terrore alla sua testa mozzata, accusandolo di ambizione personale divorante e affermando persino che stava progettando di sposare la figlia di Luigi XVI per poi divenire lui stesso re. Quando i termidoriani prepararono una “nuova Costituzione” nel 1795, tennero conto della necessità del potere esecutivo, ma distribuirono il potere del nuovo “direttorio” a cinque uomini per evitare un’indebita influenza da parte di un singolo individuo.
Ma è molto più difficile suscitare reazioni appassionate per una legge costituzionale che per un eroe carismatico. Come possiamo vedere ancor oggi in Italia. Durante gli anni Novanta del mille e settecento si fece sentire a più riprese l’attesa di un “uomo della Provvidenza”, che incarnasse la Nazione e la salvasse dai suoi nemici. Quello ‘’uomo della Provvidenza’’ che anche il popolo italiano, non nel mille e settecento ma nel mille e novecento e ancor oggi, ha auspicato ed auspica. Ma nel 1790, ancora, e paradossalmente, molte di quelle aspettative erano incentrate sull’uomo che le aveva respinte più fermamente: Robespierre. Sotto il Terrore le folle gridavano: «Viva Robespierre!» . Veniva dato il suo nome ai bambini maschi e le scolaresche apprendevano a memoria i suoi scritti. Centinaia e centinaia di persone gli scrivevano lettere infiammate d’ardore: «Tu sei un aquila che plana nei cieli»; «Te che illumini l’universo coi tuoi scritti»; «Tu sei la mia divinità suprema e io non né conosco altre su Terra che te». E un grande ammiratore dello «Incorruttibile» (Robespierre) era proprio Napoleone Bonaparte in persona, il cui ‘’merito trascendente’’ era stato notato dal fratello minore di Robespierre, Augustin, durante l’assedio di Tolone nel 1793.
Durante i primi anni della Rivoluzione, Napoleone Bonaparte tornò in Corsica, dove intraprese la carriera politica ma litigò con l’idolo della sua giovinezza, Pasquale Paoli, e alla fine dovette fuggire raggiungendo il Continente con tutta la sua famiglia. Il sostenere, e viceversa, i fratelli Robespierre lo condusse in prigione, se pur brevemente, dopo il 9 termidoro (27 luglio 1794), ma fino alla fine dei suoi giorni espresse stima per la forza e la fermezza morale di Robespierre Ma nonostante le sue pubbliche condanne dei «pericoli dell’ambizione», Napoleone Bonaparte voleva essere uno di quelli che guidano, non di quelli che seguono. Due anni dopo la strada verso il potere comincia a disegnarsi: a marzo del 1796 il Direttorio gli affida il comando dell’esercito che andrà a combattere gli Austriaci e i Piemontesi in Italia.
In meno di dieci mesi dall’inizio delle sue ‘’campagne militari’’ agli Austrici e Piemontesi aveva inflitto una disfatta decisiva, aveva conquistato vasti territori in Italia e li aveva organizzati in «repubbliche sorelle» sottoposte alla protezione della Francia. A soli 28 anni Napoleone Bonaparte era già considerato come uno dei più grandi «comandanti militari» della storia di Europa. Canzoni e poemi declamanti la sua gloria si diffondevano in tutta la Francia, come anche delle stampe che lo raffiguravano. Almeno dodici ‘’pièces’’ (rappresentazioni) di teatro furono scritte per declamare le sue imprese.
Ma tutto questo non era dovuto al caso. Napoleone Bonaparte infatti non si affidava solo agli altri per cantare le sue lodi. Era, infatti, determinato a modellare attivamente l’immagine che i francesi (e non solo) avrebbero potuto avere di lui.
In Italia aveva fondato due giornali per riportare le sue prodezze e i suoi alleati a Parigi ne pubblicarono un terzo, il «Journal de Bonaparte et des hommes vertueux». Si era anche assicurato che i suoi bollettini venissero ampiamente diffusi.
Dopo la battaglia di Arcole, nel novembre 1796, gli scritti e i disegni stampati ch’egli aveva ordinato toglieva ai generali Massena e Augereau ciò che aggiunsero al suo eroismo quando radunò le truppe francesi. Su questo episodio ne è stato tratto un teatrale ritratto di Napoleone Bonaparte che conduce gli uomini sotto il fuoco nemico sul ponte di Arcole, mentre invece era rimasto a una quarantina di metri di distanza dalla battaglia. Il pittore Antoine Gros immortalizza quel teatrale momento in uno fra le più belle opere pittoriche di Napoleone Bonaparte . Un quadro che gli incisori francesi si affrettarono a moltiplicare. E’ la fabbrica della sua immagine.
«Bonaparte au pont d’Arcole» di Antoine Gros é stato dipinto nel 1796. Questo quadro presenta il generale francese teso verso l’avanti mentre sta guardando dietro di lui per incitare le truppe a seguirlo. Per realizzare questo quadro Gros ottenne qualche seduta di posa dal ‘’modello’’ Napoleone. Ma si é anche ispirato ad una figura allegorica classica del XVIII° secolo, quella di Clio, la musa della storia, ma anche da rappresentazioni di Cristo, portatore della bandiera, come quella del Vasari. L’opera venne poi stampata e diffusa fra i militari e a Parigi. La ‘’campagna d’Italia’’ ha creato il mito napoleonico. Una leggenda forgiata dallo stesso Bonaparte grazie ai giornali che controllavo, come «Le Courrier de l’armée d’Italie».
Già nel 1796 Napoleone Bonaparte bramava, ovviamente, ad essere qualcosa di più di un semplice generale della Repubblica. In Italia si era comportato come un ‘’proconsole indipendente’’, tenendo conto degli ordini del Direttorio solo quando gli servivano. Regna in Italia con una presa più smoderata del dittatore e dell’imperatore Giulio Cesare. Egli aveva creato cio’ che si poteva chiamare ‘’la sua propria corte’’ nel suo quartier generale di Montebello, dove pranzava in presenza di spettatori, come i re di Francia a Versailles. Egli sognava la monarchia. E’ durante la cerimonia del 14 luglio 1797 che parla delle turbolenze politiche che attanagliano il governo francese e l’esercito, il suo essercito, gli risponde: Generale, tu hai salvato la Francia. I tuoi figli, gloriosi di appartenere a questo esercito invincibile, ti faranno baluardo con i loro corpi. Salviamo la Repubblica!
Ma allo stesso tempo, Napoleone Bonaparte era ben consapevole della grande sfiducia francese nei confronti dei politici ambiziosi. Quando, nel settembre 1797, con altri generali, appoggiò un colpo di stato contro le forze realiste, molti giornali lo definirono un “potenziale Cesare” e sottolinearono la loro preoccupazione per la “repubblica militare” che la Francia stava diventando. Per tutta risposta, al suo ritorno, Napoleone si prodigò per atteggiarsi a fedele servitore della Repubblica, insistendo sulla sua scarsa ambizione e facendosi un punto d’onore partecipare alle riunioni dell’Istituto Nazionale in borghese.
Ma, in quegli stessi anni, i propagandisti che lavoravano per la sua gloria attuarono anche un’altra strategia per calmare gli animi sulla sua ambizione: renderlo ancora più migliore , sempre di più. In altre parole, la propaganda lo presentava non semplicemente come superiore, ma come ”straordinariamente talentuoso”: era miracoloso che tutti questi talenti potessero essere contenuti in un solo uomo. Era, per loro, così superiore agli altri e così diverso da loro, che le regole ordinarie non si applicavano a lui. I francesi avrebbero potuto non voler affidare a uomini comuni, anche dotati, un potere personale eccessivo, ma sentivano di potersi fidare di lui a occhi chiusi. O così diceva la propaganda. Ma la stessa cosa si riprodusse in futuro con il Generale De Gaulle, in Francia e con Benito Mussolini in Italia (avvicinandosi a questi per il sostegno popolare anche Bettino Craxi , il procuratore Di Pietro e , senza alcun dubbio, Silvio Berlusconi…ma si sa che il popolo è sempre il popolo che il giorno successivo puo’ anche lasciar cadere la lama della ghigliottina su colui o colei che fino a poche ore prima non ha cessato di ‘’santificare’’). I “propagandisti” descrivevano Napoleone in questi termini:’’ un uomo dai poteri sovra-umani’’ e lodavano anche il suo approccio accomodante con tutti che lo faceva divenire e vedere come un amico. Un amico per i francesi e il «piccolo caporale» per le sue truppe a cui affidare le sorti della Repubblica. «Piccolo caporale» , é alla battaglia di Lodi che gli viene dato questo soprannome dopo l’intervento di questo ex ufficiale di artiglieria per aiutare a caricare un cannone, le truppe lo elessero per scherzo loro nuovo ”caporale” e il soprannome gli rimase nel tempo. La cordialità e la familiarità con cui trattava i soldati creava con loro un legame affettivo molto forte e permetteva anche ai civili in Francia di immaginare di avere un legame simile con lui.
Insomma, siamo qui in presenza di una forma di “carisma moderno”, democratico, e che diede a Napoleone un’immensa popolarità in Francia ben prima del colpo di stato del 18 Brumaio (9-10 novembre 1799) che rovescio’ il Direttorio e lo nomino’ console. L’anno precedente, la spedizione militare portata contro gli inglesi in Egitto non aveva fatto altro che aggiungere peso al suo carisma e questo malgrado la sconfitta della flotta francese annientata da Lord Nelson ad Abukir nell’agosto 1798.
Durante questo periodo, la feroce battaglia politica in Francia unita a disordini in tutte le campagne e dolorose sconfitte militari, finirono per disincantare il paese e confermare il disincanto tra francesi e politici. Il vecchio fantasma di Cesare non faceva più paura ai francesi e un capitano dell’esercito francese comincio’ a sognare, e quando un popolo diventa conquistatore, è essenziale che lo spirito militare prevalga sugli altri stati d’animo (e politici); era il tempo di dare una possibilità a Cesare.
E questa possibilità arrivo in novembre 1799, quando lo stesso Napoleone mise in scena il suo colpo di Stato. In un primo momento, rifiutando il confronto con Cesare, pretendeva di salvare la Repubblica. All’inizio del 1800 Napoleone approfittò della morte di un’altra grande figura carismatica dell’epoca, George Washington, per organizzare un servizio funebre agli Invalides dove il relatore principale, il letterato Louis de Fontanes, sottolineò le similitudini tra il eroi repubblicani e il ‘’nuovo dirgente’’ di Francia. Ma un opuscolo scritto qualche mese dopo, su richiesta del ministro dell’Interno, Lucien Bonaparte (fratello minore di Napoleone Bonaparte), cambiò la situazione e Fontaines scrisse che Bonaparte è come Cesare, che ha uno di quei caratteri predominanti sotto cui tutti gli ostacoli e tutte le volontà si abbassano, spiegando poi che George Washington , ‘’l’americano’’, aveva governato grazie ai sentimenti e all’affettività del popolo più che con gli otrdini e le leggi. Cosi’ nella legittimazione del potere, il legame stabilito tra i dirigenti e il popolo dal carisma aveva più peso che le regole costituzionali.
Durante i suoi anni al potere Napoleone Bonaparte nasconde il suo governo autocratico sotto una patina costituzionale. Ogni tappa del suo cammino verso il trono imperiale fu sottoposta a un plebiscito (nel 1800, 1802, 1804 ) per far ratificare le sue scelte costituzionali. Ma, per difenderlo, i propagandisti si concentrarono meno sul consenso popolare espresso da questi plebisciti e molto di più sulle intense emozioni che lo legavano personalmente al popolo francese, sull’amore e l’ammirazione suscitati dcalla sua personalità e sulle gloriose vittorie militari. Il carisma che lo aveva aiutato ad installarsi al potere diventa la sua prima legittimazione. Ed è lo stesso Napoleone Bonaparte a riconoscere qualcosa di simile in esilio a Sant’Elena, riprendendo una celebre frase di Luigi XVI, dicendo : «Lo Stato fui io….Io ero, io solo, tutta la chiave di un edificio nuovo di zecca che aveva fondamenta così leggere! Il suo destino dipendeva da ciascuna delle mie battaglie».
Napoleone Bonaparte in esilio ha potuto convincersi ch’egli era un nuovo Gesù Cristo?
Molti passaggi del ”Mémorial de Sainte-Hélène” (è un libro costituito da riflessioni e ricordi raccolti da Emmanuel de Las Cases nella forma letteraria di memoriale di Napoleone Bonaparte, da lui stesso esposti durante conversazioni quasi quotidiane tenute con i suoi amici, tra i quali Emmanuel-Augustin-Dieudonné-Joseph, conte de Las Cases, abbreviato in Emmanuel de Las Cases, durante il suo esilio sull’isola di Sant’Elena; l’opera, che uscì nel 1823, ottenne un enorme successo di pubblico che consentì a Las Cases di godere di una vita estremamente agiata e nel 1840 egli pubblicò una nuova edizione riveduta e corretta) potrebbero indurre a crederci, a tal punto che a volte, sin dalla sua prima pubblicazione, si presenta come un evangelista della fine del mondo incaricato di raccontare il sacrificio di un ‘’mezzo dio’’.Sin dal 1826, in effetti, il poeta tedesco Christian Johann Heinrich Heine, il più importante nel periodo di transizione tra il romanticismo e la Giovane Germania, non ha paragonato la roccia di Sant’Elena al Santo Sepolcro e l’Imperatore (Napoleone Bonaparte) ad un «Cristo temporale»? Del resto il culto successivo dell’immagine e delle reliquie, il credere ad una possibile ‘’resurrezione’’ o al ‘’ritorno dell’Imperatore’’, al meno fino a quelle delle sue ceneri nel 1840, partecipano senza alcun dubbio ad un’agiografia di un «santo Napoleone», del resto festeggiato il giorno della sua nascita, che é quello dell’Assunzione della madre di Cristo, il 15 agosto. La leggenda messianica di Napoleone Bonaparte è stato brillantemente analizzzato a fondo, in particolare da Natalie Petiteau (The Saint-Napoleon. Celebrations of Sovereignty in Nineteenth-Century France, Cambridge (Mass.) et Londres, Harvard University Press, 2004, ) e Sudhir Hazareesingh (Sudhir Hazareesingh, The Legend of Napoleon, Londres, Granta Books, 2004). Il libro di Marie-Paule Raffaelli-Pasquini (Napoléon & Jésus. L’avènement d’un messie, Cerf, 2021) invece ci propone una analisi letteraria e mitografica, piuttosto che storica, delle ossessioni o delle forme, comprese quelle incoscienti, di una mimesi tra queste due figure. Questo saggio curioso e talvolta, direi, suggestivo mette in particolare evidenza la precocità e la permanenza dell’uso di motivi ”cristici” a scopo propagandistico, come il ritratto di Bonaparte ad Arcole del 1796. Poi con la tela «Pestiférés de Jaffa» nel 1804, l’anno della ‘’sacra incoronazione’’, Gros centra l’argomento e trasforma l’avventuriero Napoleone in figura de parabola, prima ancora che Ingres nel 1806 consacri la ‘’maestà imperiale’’ in quella del Cristo Pantocratore, Per chi non lo sapesse l’opera «Pestiférés de Jaffa» è un dipinto olio su tela commissionato da Napoleone Bonaparte e dipinto nel 1804 da Antoine-Jean Gros, raffigurante un evento durante l’invasione francese dell’Egitto in cui Napoleone Bonaparte rende visita agli appestati di Giaffa. Mentre il dipinto di Jean-Auguste-Dominique Ingres, pittore francese considerato uno dei maggiori esponenti della pittura romantica, «Napoléon Ier sur le trône impérial» (Huile sur toile, 260 × 163 cm, musée de l’Armée, Parigi), ne consacra l’immagine. Tutto nel dipinto esprime – iconograficamente – la legittimità della nuova sovranità incarnata dall’Imperatore e come definita dal primo articolo del senatus-consultum del 18 maggio 1804. La corona d’alloro, simbolo di dominio e vittoria, e il colore porpora che, fin dall’epoca romana, era riservata all’uso imperiale, ricorda l’imperatore Cesare Augusto, fondatore dell’Impero Romano. Napoleone porta anche i nobili segni di un lontano passato carolingio: lo scettro cosiddetto “di Carlo Magno”, anch’esso coronato da una statua in miniatura (forse dello stesso Sacro Romano Impero) la cui posa sembra essere stata riprodotta da Napoleone. Nella mano sinistra, Napoleone tiene la ‘’verga della giustizia’’ e, al suo fianco, porta una spada il cui stile si ispira alla leggendaria spada Altachiara di Carlo Magno, detta anche Gioiosa. Il suo immenso trono e le sue vesti di ermellino sono ornate di api (simbolo imperiale che riecheggia il simbolo di Childerico I, re dei Franchi e figlio del primo re convertitosi al cristianesimo, Clovis). Al collo, Napoleone indossa l’imponente collana della Legion d’Onore (ordine istituito due anni prima dal Primo Console Napoleone Bonaparte).
Questi elementi contribuiscono a rafforzare l’impressione di un’aureola attorno alla testa dell’Imperatore, effetto prodotto dalla geometria dello schienale del trono. Questa strategia compositiva, combinata con uno spazio pittorico raffigurato quasi privo di profondità, ricorda fortemente la rappresentazione di “Dio Padre” di Jan van Eyck (1390-1441) nel pannello centrale della sua pala d’altare di Gand che era esposta al Musée Napoléon ( oggi Louvre) quando Ingres dipinse questo ritratto. Così, il Napoleone di Ingres può essere letto come una figura dal potere quasi divino: seduto in una posizione simile a quella del dio greco Zeus nella celebre raffigurazione della statua crisoelefantina ad Olimpia dello scultore Fidia nel 435 a.C. (distrutto molto tempo prima, ma sopravvissuto tramite riproduzioni romane e rappresentazioni su monete) con un braccio alzato e l’altro a riposo. Questa posizione verrà riutilizzata nel 1811 da Ingres nel suo dipinto del dio romano Giove. L’arte antica non è l’unica fonte di ispirazione di Ingres: la meticolosa e precisa resa dei dettagli rivela l’ammirazione di Ingres per artisti precedenti, come Raffaello; ha incluso il disegno della «Madonna della sedia» del maestro rinascimentale nel tappeto di questo ritratto.
Acquistato dal Corpo Legislativo il 26 agosto 1806, il dipinto fu esposto nel Palais-Bourbon dove sedeva l’assemblea legislativa. In particolare, ornava il salone del Presidente del Corpo Legislativo, dove l’Imperatore veniva ad aprire ufficialmente la sessione annuale. Il dipinto fu trasferito al Museo Napoleone (oggi Louvre) nel 1815, poi all’Hôtel des Invalides nel 1832 e infine al Musée de l’Armée nel 1897.
Con la stampa , bollettini e giornali, e l’arte figurativa (oggi possiamo aggiungere le reti televisive e internet) il mondo delle arti in generale si dimostra essere, a volte se non spesso, al servizio della politica, sia per elogiare il potere che per sfidarlo.
Il ritratto di Napoleone I sul trono imperiale è un esempio emblematico in tal senso. Innegabile successo pittorico, questo ritratto permette anche di rendersi conto che l’arroganza dei potenti può arrivare fino al ridicolo. Napoleone rimane così per l’eternità il generale che cerca di imitare i re.
Per concludere.
Il carisma di Napoleone Bonaparte era stato fin dall’inizio strettamente legato al suo successo militare, alla sua gloria. Questo era qualcosa che i francesi si aspettavano, e ha mantenuto a lungo un alto indice di popolarità tutt’oggi in parte vivente. Ma quando questi successi e la gloria furono soffiati dai venti gelidi della Russia nel 1812 e dall’arsura nelle aride pianure della Spagna nel 1813, lo fu anche il suo carisma. Come non andare con il pensiero alla figura di Mussolini, prima tanto amata dalla folla fino al 7 settembre 1943 e subitamente odiato l’8 settembre dello stesso anno, e ad altrettante figure di uomini politici italiani (da Craxi a Berlusconi, per citarne due) inneggiati e idolatrati prima e dispregiati dopo per ridar loro ammirazione, giustificazione e legittimazione dopo la loro morte?
Ma per tornare a Napoleone Bonaparte, egli riusci a ‘’resuscitare’’ il suo carisma per un altro momento glorioso: durante i Cento Giorni (20 marzo 1815- 8 luglio 1815) con il suo ritorno da fuggitivo in Francia. In seguito, dopo Waterloo, il 18 giugno 1815, nel brillante «Mémorial de Sainte-Hélène», assecondato dal suo fedele scrivano, Las Cases, ha riconfigurato il suo carisma, ancorandolo questa volta nel phatos e nel sacrificio. Il titano che aveva viaggiato in tutta Europa divenne un Prometeo che rinunciò alla sua libertà per l’umanità e visse il resto dei suoi giorni incatenato alla sua roccia del Sud Atlantico, tormentato dagli avvoltoi inglesi.
Così, il carisma leggendario è sopravvissuto. Nessun politico ha esercitato un’attrazione così potente sull’immaginario occidentale come Napoleone Bonaparte. La lista degli autori ch’egli ha affascinato o ossessionato é senza fine: Chateaubrind, Sthendal, Balzac, Goethe, Hegel, Heine, Pouchkine,Tolstoi, Walter Scott, Ralph Waldo Emerson e soprattutto Victor Hugo, figlio di un generale napoleonico. Cio’ che ipnotizzava questi autori non era solamente l’uomo ma la sua presa sulle menti di chi guidava, la forza di attrazione che permetteva a chi lo sosteneva di sentirsi a sua volta esaltato, di sentirsi parte della grande avventura che aveva lanciato.
Ancor oggi brilla una scheggia del suo leggendario carisma. Questa è una prova di ciò che un essere umano può ottenere attraverso la pura volontà e il puro genio, e attraverso la sua capacità di conquistare il cuore dei suoi connazionali.
Allora, per terminare, riporto la domanda iniziale che mi ero posto «il carisma in politica», questo carisma possiamo dire che si è dissipato? Non credo! È il popolo che vuole l’uomo o la donna della provvidenza e uomini carismatici e donne carismatiche sono ancor oggi pronti a condurre questi popoli nel Mondo, anche se poi al ‘’giro di boa’’ sanno che quello stesso popolo potrà…ghigliottinarli.
Marco Affatigato