A tutti gli uomini liberi e forti è un’espressione che sovente alcuni politici nostrani tornano ad usare. Fu pronunciata da don Luigi Sturzo, il fondatore del Partito Popolare Italiano nel gennaio 1919. La differenza che separa i due momenti è nella distanza storica ed nel valore che permea quell’espressione.
A parole molti si sono ispirati a don Sturzo, il cui lascito ideologico-politico sembra perso non soltanto dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana, erede del PPI. L’ultimo è stato Silvio Berlusconi, il quale, annunciando questo gennaio la sua candidatura alle Europee, ha affermato di sentirsi continuatore della visione di don Sturzo.
Ha scritto Berlusconi: “Sono passati 100 anni da quando don Luigi Sturzo diffuse l’appello ai liberi e forti, segnando la partecipazione attiva dei cattolici alla politica italiana. Riletto oggi suona attuale, delineando un modello di stato, di società, di partecipazione politica ispirato ai valori cristiani e liberale nel metodo e nelle proposte. È il modello al quale mi sono ispirato quando lasciai la mia attività di imprenditore per fondare Forza Italia“.
Popolari & Liberali: un connubio spesso indigesto
Berlusconi, parlando all’altra Italia (“che alla politica chiede serietà e sobrietà, competenza ed onestà“), vuole richiamarsi al presunto fondamento del pensiero di don Sturzo. Uno stato laico e liberale, popolare nella sua base e proteso alla collaborazione con le istituzioni sovranazionali (la Società delle Nazioni).
Don Sturzo si rifaceva a posizioni progressiste ed alla dottrina sociale della Chiesa Cattolica: il PPI è stato un partito cattolico, ma non confessionale. Dalla temperie culturale dell’epoca, i suoi fondatori (don Sturzo, Meda e Tonioli) selezionarono gli aspetti più affini alle posizioni progressiste cattoliche.
La centralità della dignità dell’uomo, della famiglia e della piccola proprietà toccano aspetti dei conservatori, liberali e socialisti. La sintesi operata da don Sturzo s’è persa col tempo; Berlusconi, chiamando il presibtero “ispiratore delle mie posizioni antistataliste“, sembra più recitare dello scroccone ad un banchetto ormai terminato.
E’ tipico di Berlusconi affermare di credere in un alto valore (ad esempio la “libertà“), gradito a tutto l’uditorio, per poi scendere nei dettagli: solo che ogni specificazione (“della libertà d’impresa, di culto, ecc.“) era propria della sua visione politica, più attenta al personale che al pubblico.
I popolari non nascono dal nulla. Don Sturzo ne era consapevole: non inserì “cattolico” nel nome del partito perché il cattolicesimo è religione, universalità, il partito è politica, è divisione.
Berlusconi, Mattarella e Dini: richiami (sfortunati) a don Sturzo
Bisogna ricordare che Forza Italia ha avuto posizioni chiuse sulla legge 40 e sulla bio-etica. Anche se l’ha dimenticato, l’elettore di oggi potrà constatare che Berlusconi non ha più lo stesso rapporto “sentimentale” che aveva col Paese nel 2006 o nel 2001.
Non votandolo, l’elettore esprime il mal di pancia d’un certo mondo laico-radicale che ritiene Berlusconi troppo attento ai “valori non negoziabili” cattolici. Richiamarsi a don Sturzo è un errore: Berlusconi “dimentica” che, oggi, vincono gli slogan ultra-tradizionalisti di Salvini o Meloni e che il ceto medio ex-democristiano sembra confluito o nella Lega o nel Movimento 5Stelle.
Nemmeno a Lamberto Dini portò fortuna richiamarsi a don Sturzo. Rinnovamento italiano, partito “di centro, moderato e riformista” concorse per le Politiche del 1996 entrando nel Governo Prodi. Un tecnico come Dini, chiamato per risanare il bilancio statale, trovò arduo esprimere una linea politica chiara e coinvolgente, pur avendo intuito che l’inserimento italiano nella CEE era utile in quel momento storico.
Un inserimento che anche il Presidente della Repubblica, Mattarella, ha sempre difeso e sostenuto nel suo ufficio. Qui molti si sono lamentati del suo agire in occasione del post-4 marzo, dalla querelle su Savona come ministro alla ritrosia nell’accettare un governo definito da tutti “popolare”.
L’attualità di don Sturzo oggi
Inutile girarci attorno: a sentir di preti che parlano e fanno politica molti provano forte fastidio, ma l’attualità del pensiero di don Sturzo deve superare questa miopia storica. L’appello agli uomini liberi e forti contiene il vero antidoto alla politica urlata, fatta di barriere, illiceità e protagonismo sfrenato.
E’ accaduto a Berlusconi, sta accadendo a Di Maio e forse accadrà a Salvini: c’è il concreto rischio che le leadership e le governance politiche ardano d’una luce sì accecante ma di brevissima durata. A furia d’esser follower degli umori elettorali, aggiungere una patina di cultura ai propri slogan non serve ad altro che a creare settarismi e dogmatismi.
Se don Sturzo distingueva l’universalità del cattolicesimo dal particolarismo del partito, la conseguenza è che una politica può dirsi davvero laica e popolare quando questa non è confusa con la linea di partito. L’agire sociale e collettivo è politico, non partitico.
Pasquale Narciso
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