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Pellissier, Cavasin e il mal di calcio: quando la “saudade” del campo batte i milioni

Per il calcio e il calciomercato, l’estate 2021 ha segnato un vero e proprio spartiacque tra due ere calcistiche: dopo l’addio di Messi al Barcellona per problemi contrattuali, il PSG dei Galactiques, Ronaldo che ‘ringrazzia’ la Juventus e torna al Manchester United, si è ufficialmente entrati in una nuova epoca.

Un’epoca che sembrava scongiurata con il naufragio del progetto Superlega, affondato dai colpi dei tifosi, di Boris Johnson e del presidente della UEFA Ceferin, che per tutta risposta ha riordinato le competizioni calcistiche continentali istituendo la Conference League con l’intento di diventare maggiormente inclusivo. “Inclusività”, un mantra che ha spinto anche la FIFA, che ha allargato il mondiale a 48 squadre già dal 2026, quando con buone probabilità si vedranno in campo molte squadre esordienti dai più disparati continenti del mondo, tra isole caraibiche, stati centro-africani e amene località del sud-est asiatico.

Un’età dell’oro? Tutt’altro. Affondando un progetto che dichiaratamente e deliberatamente voleva rendere i “forti” ancora più forti, annientando del tutto i “deboli”, si è generato un effetto contrario per cui ora i “forti” si possono rafforzare sempre di più in nome di ritrovate ambizioni sportive, mentre i “deboli” devono soccombere per un giro economico che non è più sostenibile.

O meglio, non è più sostenibile solo in alcune realtà: la FA inglese è sempre stata rigidissima sui controlli fiscali delle società affiliate, garantendo passaggi di proprietà dei club solo di fronte ad attente analisi di stabilità economica e rispedendo al mittente offerte di personaggi ritenuti “non affidabili”. Chiedere a Massimo Cellino, attuale presidente del Brescia e storico presidente di Cagliari e Leeds, che venne ‘scartato’ nella corsa alla presidenza del West Ham per lasciare il posto a David Sullivan. Oltre al “bastone” dei controlli, però, la FA ha sempre dato una gustosa “carota”: i diritti televisivi, redistribuiti sempre secondo un criterio meritocratico, ovvero la classifica di Premier League, unica vera fonte di valutazione per assegnare i milioni che permettono poi a squadre di centro classifica di effettuare colpi internazionali, come James Rodriguez all’Everton dello scorso anno.

Il passaggio di James Rodriguez all’Everton

Senza andare ad analizzare le situazioni di campionati molto diversi come la Spagna – dove una nuova legge della Liga pare abbia messo in seri guai sia il Barcellona che il Real Madrid, danneggiando però come indotto economico anche tutte le altre società affiliate – o la Germania e la Francia, dove fondamentalmente vi è una superpotenza e tante comprimarie, in Italia negli anni è successo veramente di tutto. Molti degli appassionati si ricorderanno delle vicende dei diritti TV “spacchettati”, con Premium e Dahlia ieri e Sky e Dazn oggi, con un sostanziale obbligo di acquistare due abbonamenti per poter vedere tutte le partite della propria squadra del cuore, a meno che – come nel caso di Dahlia – l’emittente non fallisca a metà stagione, lasciando i tifosi con il cerino in mano e una forte insoddisfazione.

Figli e figliastri, viene da dire, specie se si nota che le squadre che rimasero appiedate e senza equa redistribuzione furono Cagliari, Catania, Cesena, Chievo, Lecce, Parma, Sampdoria, Udinese, ovvero le 8 squadre scartate da Premium. Senza diritti tv, senza stadi di proprietà – a eccezione di Juventus e Sassuolo che su questo punto si sono dimostrate all’avanguardia – le società italiane navigano in mari di debiti, come il calciomercato di ridimensionamento dell’Inter dimostra. E da qui nascono i crack finanziari che negli anni hanno interessato società storicamente assodate nel calcio italiano: il Parma aprì le danze nel 2015, dopo una stagione passata tra scene surreali di giocatori che pagavano l’autista dell’autobus per arrivare alle trasferte; recente invece è la storia del Chievo, prima condannato per plusvalenze fittizie divenute poi comune prassi per molti club, ora travolto da un debito verso l’erario di circa 17 milioni di euro, ritenuti troppi dalla CoViSoc per iscrivere il club al campionato di B.

Un calcio quindi che sempre più si decide tra sedi bancarie che prestano somme di denaro per speculazioni di ogni sorta, o aule di tribunale per dirimere controversie legali su calcioscommesse, illeciti sportivi o ammanchi finanziari. Il campo parla sempre meno, i tifosi – pandemia docet – possono tranquillamente essere sostituiti. Ecco allora la saudade, la malinconia per un calcio veramente ‘della gente’, dove una maglia ha i colori del club e uno sponsor di qualche imprenditore locale tifoso.

In questo contesto, in questo “mal di calcio”, si inseriscono le storie di Sergio Pellissier e Alberto Cavasin. Il primo, per amore del ‘suo’ Chievo, ha fondato la FC Chievo 1929, società parallela che militerà in Terza Categoria veronese con lo scopo di tornare quantomeno nel calcio professionistico, ripartendo dai piccoli campi, dai pareri di chi il Chievo lo ha sentito sulla sua pelle, magari anche da un azionariato popolare che in Italia non ha mai avuto una grande eco ma che in Germania per esempio è ‘caldamente consigliato’ quando non obbligatorio, sia pure per quote di assoluta minoranza.

Il post con cui Pellissier ha annunciato l’impossibilità di iscrivere il Chievo in D, avviando poi le pratiche per la Terza Categoria

Cavasin, allenatore in passato di club come Lecce, Fiorentina, Brescia e Sampdoria, ha deciso per il Barisardo, squadra dell’omonima località del nuorese militante in Prima Categoria, due serie più in alto dell’FC Chievo 1929. In questa estate, a suo dire, aveva ricevuto proposte da squadre di Serie D e dalla Nazionale del Congo, una di quelle che avrebbe potuto usufruire dell’inclusività della FIFA partecipando a un mondiale dove presumibilmente sarebbe stata travolta in un girone con Brasile e Croazia. Poi una vacanza in Sardegna: “Un amico del mondo del calcio – dice Cavasin alla Gazzettami ha parlato del Barisardo, li stava aiutando a prendere dei calciatori. Pensava che, sentendo Prima Categoria, avrei rifiutato. Ho conosciuto il presidente Ibba, passionale, semplice, genuino. Mi ha invitato per due giorni, sono andato e ho riflettuto. Sono tornato altre due volte. Mi ha ubriacato con gli aperitivi, io che sono quasi astemio, ma ho capito che vuole fare qualcosa di importante sul territorio. Ci sono tanti ragazzi non sardi ma anche giovani del luogo e la squadra è fatta per salire. E poi, dobbiamo vincere nove derby, con 500 persone al campo e tutto esaurito fisso“.

Il post dell’ufficialità di Cavasin al Bari Sardo

Un calcio più “piccolo”, genuino, semplice, basato semplicemente su un pallone che rotola e su ventidue persone che danno tutto e si divertono è possibile? Sicuramente sì, ed è per questo che lo scontro ideologico contro chi vorrebbe ingaggi sempre più milionari, squadre sempre più forti a scapito di tutti gli altri, un mondo di soli Golia rischia di diventare totale.

Riccardo Ficara Pigini

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