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La danza popolare

Dopo il momento storico di vite sospese da lockdown e restrizioni varie, anche l’intrattenimento ha sofferto. Cinema, teatro, opera, balletti, tutto si era fermato, perché il futuro si nutre dell’energia delle anime in movimento. E allora ci sovviene il ricordo della danza, da quella classica a quella moderna, come l’abbiamo conosciuta noi del popolo.

L’espressione fisica legata alla musica è vecchia come il mondo, ma entra di forza nelle nostre case con l’avvento della televisione. Le prime coreografie hanno fatto molto sorridere i critici nostrani, ma la tradizione italiana era come la nostra musica, non partiva dal jazz e dal vaudeville, era lenta, quasi enfatica; non per questo i vecchi professionisti valevano meno delle stelline che arrivavano da lontano. Nomi come Paolo Gozlino ed Elena Sedlak oggi non dicono più nulla, azzerati prima dai “testapiedi, pieditesta” di Don Lurio, in seguito dagli emuli di Hair e Chorus Line – naturalmente non parleremo dei finti ballerini alla John Travolta, mosso solo dal gioco delle inquadrature o, a casa nostra, Adriano Celentano, macchietta di un danzatore, mimo al limite anche abile, ma senza strutture tersicoree a sostenerlo.

Il mondo di queste libellule è altero; la fatica del movimento organizzato in figure sfibra, e consuma anche il sistema nervoso; la disciplina rende schiavi, perfino nelle movenze quotidiane. Se sei un vero ballerino, si deve vedere anche quando stai fermo e devi sembrare un dio dell’Olimpo che si concede al respiro della folla. Rudolph Nureyev e Carla Fracci appartenevano a questa quota stellare, e si odiavano: in quello scenario, l’uomo e la donna esprimono una grazia apparente, che cela la sex war.

Il siparietto coreografico di norma interrompeva, negli show del sabato sera, le parti comiche che preferivamo, e pochi lo apprezzavano. La situazione cambiò quando arrivarono professionisti come la strepitosa Stefania Rotolo, mancata nel 1981, a 29 anni, vera innovatrice dei break visti fino a quel momento. Fu lei, in coppia con il caraibico/romano Sammy Barbot, a portare un soffio di novità nel programma Piccolo Slam, del 1977, prima di Heather.

Che la Parisi abbia cambiato il nostro sguardo nei confronti di quell’arte, è un fatto, ma fu un’operazione molto furba. Di incerte origini italiane da parte di madre, la peperina di Sacramento, in California, arrivò qui diciottenne, ma non crediamo per caso. Dopo un passaggio gossip, mediante la ridicola finta love story col collega salernitano dai riccioli biondi Enzo Avallone (morto nel 1997, a 42 anni), si impose con tutta la sua furia di cicale e dischi bambina, sorretta dal coreografo Franco Miseria, che ci dicono avesse sedotto.

Le sue epigone non tardarono a venire a galla, una tra tutte la romanissima Lorella Cuccarini, pupilla di Pippo Baudo, che i media dicevano rivale acerrima dell’americana. Sposata da sempre a un dirigente Mediaset, quattro figli (come Heather), anche Lorella del Prenestino è in ritiro da tempo. Un cenno a parte merita Alessandra Martines, già moglie di Claude Lelouch, prestata alle passerelle popolari, con l’albagia di chi ha calcato i grandi palchi, e una successiva carriera da attrice.

Ancora diverso è il caso di Oriella Dorella, prestatasi al pop senza smettere l’altezzosità classica.

Gli elenchi sarebbero lunghi e, come sempre, ce ne asteniamo. Divi e divetti sono apparsi e comparsi, finché i mefitici talent a tema hanno travolto anche questo angolo di meritocrazia e i trendissimi giudici hanno iniziato a sentenziare.

Il prezzo che abbiamo pagato è la diffusione di palestre e scuole di danze, cui siamo stati immancabilmente invitati per il saggio della figlia del cugino e dell’amica. Così non ci resta che rimpiangere Raffaella Carrà, tuttofare impeccabile.

Perché, chi ha detto che non si possa fare tutto e bene?

Carmen Gueye