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Editoriali

La questione migratoria e quella demografica al di là delle narrazioni

Cutro è stata ostaggio di uno show, di cui siamo poi finiti ostaggi tutti noi.
In questa sceneggiata si sono scontrate due narrazioni mediatiche, e sottolineo mediatiche, della questione migratoria. Le narrazioni servono a definire il modo in cui si espone quello in cui si è coinvolti, non a decidere cosa si fa, perché per fare qualcosa sono necessari non solo una volontà ma un potere di attuazione (quindi una compatta macchina di sottopotere) e delle favorevoli condizioni oggettive. La macchina di sottopotere è oggi concentrata sullo sfruttamento del business migrazioni; le condizioni oggettive sono piuttosto proibitive, quindi, quale che sia l’orientamento di un governo, esso non può imporre una volontà assoluta, né, all’atto pratico, fingere che la realtà sia diversa da quella che è.
Sia chiaro, anzi chiarissimo, che non sto argomentando a favore di questo governo e nemmeno contro di esso. Voglio fare luce sulle questioni oggettive che ci hanno afferrato e che ci trattengono in una morsa.

Open e Closed
Molti si raffigurano il reale senza alcun elemento a conforto della propria astrazione ideologica ed emotiva. Costoro possono essere delusi (ma solo perché si erano illusi) del fatto che il nuovo governo non abbia imposto una selezione razziale o religiosa nelle accoglienze o che non abbia chiuso i porti impedendo a tutti di arrivare. Oppure, all’opposto, essere esterrefatti perché la società non è insorta contro la politica di respingimenti che c’impedisce di vivere infine nella felice open society nosex, norace, noreligion, nocountry. Due visioni irreali del reale, anche se la seconda, a differenza della prima, è diffusa in ambienti liberal della comunicazione e nelle strutture Onu e, quindi, ha una presa sul reale, per “idiovariazione”. Ma al di là di tutto ciò, ci sono fattori determinanti che dettano poi gli orientamenti condivisi (da Macron alla Meloni) che non rispondono a nessuna delle due visioni del mondo o dell’immondo.

Prima o poi si fanno i conti
Stiamo vivendo il fallimento prospettico del capitalismo e della democrazia parlamentare.
Non si tratta soltanto dell’esautorazione dell’economia e della politica da parte della finanza, ma della nostra morte fisica, oltre che spirituale. Siamo nell’inverno demografico: una sorte a cui non sfugge nessun paese capitalista ricco. Non solo noi, che anche in questo riusciamo ad essere i peggiori, non solo l’intera Europa, ma gli Usa, il Giappone e la Russia. La Cina c’insegue e come noi oggi  dovrebbe trovarsi tra circa vent’anni.
Il tutto mentre nel terzo e quarto mondo la demografia esonda e lo sviluppo economico langue.
Per questo motivo tutte le classi dirigenti (compresa la giapponese, la candese e l’autraliana!) stanno promuovendo campagne per l’immigrazione straniera. Diversi analisti hanno ormai posto la competizione nell’attrazione selezionata dell’immigrazione tra le nuove armi di concorrenza tra potenze.

Da noi è un disastro
In questo noi stiamo messi malissimo. Non solo perché siamo uno scalo naturale per l’immigrazione ma perché siamo perdenti dal punto di vista delle selezioni e ciò per due ragioni tipicamente nostre. Abbiamo fatto del sostegno all’immigrazione un vero business parassitario per numerosissimi intermediari, scafisti inclusi, il che scoraggia la selezione che altrove c’è, in quanto da noi ogni immigrato è merce da sfruttare e conta come numero, rappresentando una “risorsa” inerte. E poi di tutta la Ue siamo il paese in cui il salario è il meno allettante, ergo chiunque abbia qualche talento da vendere, o da svendere, non rimane da noi.
Ed è sulla base di queste considerazioni che, mi sembra, stia ragionando il governo, con l’aiuto francese: ossia per stabilire una selezione prima dell’arrivo e per trattenere anche noi, tramite la concertazione, una fetta qualificata, anziché continuare a fare da testa di ponte per il resto d’Europa.

Demografia. Alcune cifre devono farci riflettere
“L’Avvenire” ha denunciato  la mancanza a livello mondiale di 6,4 milioni di medici, 30,6 di infermieri e ostetriche, 3,3 di odontoiatri, 2,9 di farmacisti.
Il 40% andrà in pensione nei prossimi anni, e la Sanità ha calcolato una carenza attuale di 30 mila medici e 250 mila infermieri e, visti i pensionamenti imminenti, sostiene che per il prossimo decennio dovremmo assumere ogni anno 15 mila medici e 35 mila infermieri. E in questa situazione noi abbiamo il numero chiuso e i francesi protestano perché non vogliono andare in pensione a 64 anni!
Il problema non è solo legato alla sanità (in cui, per inciso, dobbiamo includere le badanti, al 70% straniere) ma l’intero mondo del lavoro. Secondo la Banca d’Italia tra tre anni avermo ben 630 mila persone in meno nel pieno dell’età lavorativa.
Su queste basi reali, e non su quelle che c’immaginiamo, si muovono, o provano a muoversi, i governi. Da noi iniziò ai tempi del ministro Minniti (anche allora in concordanza oggettiva con Macron).
Ovviamente ci raccontano altro, non per ingannarci, ma perché la realtà è complessa e le menti sono semplici, se non ottuse. La gente non avrebbe gli elementi per seguire e comprendere se le si presentasse la questione in termini seri. Ma che dico, la gente? Tra le stesse forze politiche e di governo, in Italia come altrove, rare sono le persone che hanno coscienza dell’insieme e che sanno quello che fanno, o meglio, quello che sono chiamate a fare. Quando ci raccontano altro spesso neppure mentono perché neanche capiscono quello che fanno.

Si può
Questo non significa che non ci siano altre possibilità. Una miscela di politica demografica, robotizzazione e geopolitica geoeconomica eurafricana può mutare radicalmente la situazione, ma, per portare frutti reali, serviranno cinquant’anni di impegno serio e continuativo.
Intanto i governi (di qualsiasi colore) possono sempre operare qualcosa di positivo per gestire la situazione con  un certo pragmatismo. Magari con logica non solo selettiva ma calmieristica, come iniziarono a fare (parlo di fare, non di dire, che sono due verbi che raramente si declinano assieme) Francia e Germania venendo in collisione con l’Italia del primissimo Gentiloni, e con l’Onu, proprio mentre i sovranisti nella loro ignoranza accusavano la Ue d’imporci gli ingressi, il che era il rovesciamento del reale.

Per Giove!
Non bastano purtroppo i secchi per svuotare l’acqua da una nave che affonda, bisogna ricostruire la nave.
Stiamo subendo l’effetto congiunto di distorsioni che si trovano perfettamente insieme e a loro agio nell’Antifascismo, che oggi si pretende addirittura come “cultura”. Un benessere egoistico, le logiche capitalistiche, una mentalità orizzontale, priva di responsabilizzazione, nemica dell’assialità, quindi delle differenziazioni, della qualità, della verticalità, della virilità, del patriarcato. Iuppiter, djew-pater, dove dall’arcaico indeouropeo djew, divino, procede anche Ius… L’impossibilità di discernere, gerarchizzare, decidere. Serve un modello esistenziale e politico, oltre che filosofico, ben diverso da quello attuale, altrimenti non se ne esce.
Senza la bussola, senza il centro, senza il criterio – questo sconosciuto – non si può venire a capo di nulla, né stabilizzare alcun risultato positivo eventualmente raggiunto.
Rivoluzione culturale, esistenziale e concettuale: a quello, oltre che a favorire un pragmatismo rettificatore, si deve pensare, invece di perdere tempo a ululare contro i Soros di turno e a definire venduti o traditori (esattamente come li definiscono specularmente i globalisti) quelli che ci amministrano.
Che non hanno ancora capito come tutto quello che intendono costruire, se intendono costruire qualcosa, sia vano se non si è prima costituito un sottopotere necessario e sufficiente, o se almeno non lo si fa molto in fretta. Iniziando da ieri!

Gabriele Adinolfi